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L' alluce valgo è un problema permanente, ma non necessariamente dolente. Il dolore articolare è presente principalmente nel periodo in cui si manifesta la deviazione del dito ed una volta stabilizzata vi è una remissione del dolore. E' importante assecondare la forma del piede con scarpe ampie possibilmente elasticizzate. Si può frenare la progressione della malattia con l' uso di ortesi plantari ( plantari ) che contrastano l' eccessiva pronazione. Le ortesi interdigitali in silicone possono essere di aiuto qualora si formino calli interdigitali dolorosi.
L' uso di ortesi plantari ( plantari ) e scarpe progettate per questo disturbo o scarpe molto ampie sicuramente riescono a contrastare in parte il dolore, se però permane dolore o se si debbano usare scarpe professionali che esarcebano il male è consigliato l' intervento chirurgico.
Se si formano calli sulla prominenza ( cipolla, nocetta ) si consiglia l' asportazione dal podologo e una protezione per le scarpe.
Se è presente borsite dolorosa può essere di aiuto l' uso di ghiaccio, antiinfiammatori, ed infiltrazioni di cortisone.
La correzione chirurgica è indicata quando il dolore, nonostante le scarpe ampie ed i plantari, limita le proprie attività. Inoltre per essere sottoposti a chirurgia non devono essere presenti condizioni di salute che ne pregiudichino la sicurezza.
Ci sono protezioni in silicone, ci si può automassaggiare, fare stretching del dito, dell' avampiede, impacchi di ghiaccio, sono tutte azioni che possono portare sollievo dal dolore.
E' l' infiammazione della borsa sierosa, questa è un cuscinetto che protegge l' articolazione. Quando per un eccessivo sfregamento e pressione si infiamma, la borsa aumenta di volume si arrossa e duole.
Quando ha iniziato ad avere problemi ai piedi ?
Quanto dolore avete al piede ?
Dov'è il dolore ?
Che cosa sembra migliorare i sintomi?
Che cosa sembra peggiorare i sintomi?
R. L' unghia incarnita è una patologia frequente in cui l' angolo o lato di un unghia crea una lesione alla cute con il risultato di dolore , arrossamento , gonfiore e a volte infezione.
Ci sono casi in cui si ha dolore come se fosse un' unghia incarnita ma non c'è rossore o gonfiore, in questi casi o si è nelle primissime fasi di un unghia incarnita oppure si è formato un callo nel solco unguale dove l' unghia fa pressione chiamato onicofosi.
R. Se è il primo episodio, è da poco tempo ed il dito non si è gonfiato molto è temporanea, chiaramente si deve eliminare lo sperone di unghia che taglia la pelle, utilizzare un antisettico, una crema antibiotica per pochi giorni e scarpe ampie o sandali.
Se perdura da mesi o si sono già ripetuti episodi di unghia incarnita, il dito è sempre gonfio e rosso è una condizione cronica.
R. Quando il dolore è causato dalla presenza di un callo, è necessario asportarlo. La causa è la curvatura eccessiva dell' unghia. Se la conformazione della lamina e delle pieghe ungueali laterali lo consentono si può applicare un ferretto in titanio che corregge la curvatura della lamina e riduce la pressione. Questo trattamento è indolore ed efficace immediatamente ma spesso è necessario ripeterlo periodicamente.
Nell' unghia incarnita non evoluta si elimina la spicula di unghia che ha creato la lesione si applica un antisettico, una crema antibiotica per pochi giorni e scarpe ampie o sandali.
Nel caso di unghia incarnita evoluta cronica si consiglia la matricectomia con fenolo che è risolutiva.
R. Si può aspettare, se non peggiora, ma senza aspettare mesi perchè l' infezione può attaccare i tessuti profondi. E' importante usare antisettico e calzature ampie o sandali.
R. Si, è importante eliminare una fonte di infezione, ci si deve recare dal proprio medico per i farmaci e dal podologo per curare l' unghia
R. E' importante tagliare le unghie correttamente, quadrate senza tagliare i lati, usare scarpe con pianta larga ed evitare attività traumatiche per le dita.
Il dolore, l'arrossamento della pelle vicino alla lamina e Il gonfiore o Il pus sonó segnali di possibile unghia incarnita.
Fare attenzione al taglio delle unghiel non taglio re ai lati e usare scarpe da calcio non troppo strette.
E' molto importante usare scarpe ampie, fare un taglio retto e non ai lati dell'unghia, a volte purtroppo nonostante tutte le precauzioni la predisposizione può causare comunque l'unghia incarnita.
Si può utizzare propoli come antibiótico naturale oppure l'aglio. La crema di arnica come antiinflamatorio e antídolorifico e scarpe ampie.
E' molto importante usare scarpe ampie, fare un taglio retto e non ai lati dell'unghia, usare un antisettico líquido se c'é infezione una crema antibiotica e a volte purtroppo nonostante tutte le precauzioni la predisposizione può causare comunque l'unghia incarnita.
Potete eventualmente consultare la nostra guida nella sezione how to
Si ricorre al trattamento chirurgico quando c'è molto dolore, o granuloma. Il trattamento di elezione è la matricectomia con fenolo, perché non è doloroso e non si ripresenta più l' unghia incarnita. Si elimina la parte dell' unghia che si incunea nella pelle, si applica un piccolo batuffolo con fenolo per tre volte da 1 minuto nella matrice esposta e un po' di pomata antibiotica, quindi si mette una garza con cerotto.
Dopo l'intervento, generalmente, non è necessario nessun antidolorifico. Ogni giorno va medicato con betadine e una pomata antibiotica fino a guarigione. E' da evitare in pazienti affetti da arteriopatia periferica
Taglio retto dell' unghia, scarpe larghe. Se c'è una predisposizione all'unghia incarnita è meglio rivolgersi periodicamente ad un podologo professionista laureato per la cura dei piedi.
L'aglio come rimedio naturale va tritato e applicato sull' unghia incarnita.
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
MASTER DI PODOLOGIA DELLO SPORT
TESI
APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE NELLA METATARSALGIA DEGLI SPORTIVI: REVISIONE DELLA LETTERATURA
PRESENTATA DA RELATORE
TOMMASINI TIBERIO CHIAR.MO PROF PAOLO ZEPPILLI
ANNO ACCADEMICO 2009/2010
INTRODUZIONE
Una gestione moderna multidisciplinare nelle patologie degli sportivi sia per gli aspetti diagnostici che terapeutici esige la partecipazione di diversi specialisti quale il medico dello sport, il medico endocrinologo, il medico ortopedico, il fisioterapista, il podologo , il medico fisiatra, il pediatra ed altre figure specialistiche meno frequentemente interessate come il reumatologo, l’ angiologo, il neurologo, il dermatologo .
L’ identità dello sportivo nel corso del tempo è molto cambiata in quanto ora lo sportivo può essere agonista, amatoriale ed occasionale, ma anche essere un bambino, un adolescente, un adulto, un anziano, quindi con alterazioni correlate all’ età ed all’ intensità degli allenamenti.
DEFINIZIONI
Nel corso del secolo scorso sono state date varie definizioni di metatarsalgia, termine con il quale si intende una sintomatologia dolorosa a carico dell’ avampiede. Di questo termine si apprezza maggiormente il carattere descrittivo piuttosto che una vera diagnosi, comprendendo un insieme di quadri clinici che riconoscono varie etiologie.
Lelievre definiva metatarsalgia un dolore in corrispondenza del metatarso(1), Viladot ha allargato il concetto di metatarsalgia includendovi una serie di di affezioni caratterizzate da qualsiasi dolore localizzato all’ avampiede(2).
Regnauld distingue una metatarsalgia diffusa con interessamento di tutto l’ avampiede ed associata ad un disassamento complessivo dell’ avampiede o del piede, una localizzata che è limitata ad un area specifica della regione metatarsale ed una tissutale o non meccanica indipendente dal carico e quindi con origine dai tessuti molli (3).
Valenti definisce metatarsalgia una sindrome dolorosa localizzata alla testa di una o più ossa metatarsali e quindi puntualizzata, in maniera topografica più ristretta rispetto a Lelievre che aveva compreso anche la base ed il corpo di ogni osso metatarsale(4).
Chiapparra precisa come le articolazioni metatarso-falangee dell’ alluce e delle altre dita sono le sedi più frequenti delle plantalgie anteriori, essendo la superficie plantare di queste articolazioni quella che sopporta la maggior parte del peso corporeo durante la fase terminale del passo, quindi non solo l’ epifisi distale del metatarso come spesso si è soliti affermare (5).
Pisani la definisce in maniera ancora più circoscritta: un dolore localizzato ad una o più teste metatarsali in corrispondenza alla regione plantare(6).
Mann ha definito per metatarsalgia un dolore in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee, cosi che diventa sinonimo di artralgia e per una migliore descrizione indicarne il o i metatarsi interessati(7).
La definizione più attuale
Bardelli e Torelli definiscono in modo più completo la metatarsalgia come un dolore acuto o cronico in corrispondenza di una o più articolazioni metatarso-falangee provocato dalla compromissione, su base meccanica e non, delle strutture anatomiche che interagiscono con l’ articolazione ( osso, cartilagine, capsulae legamenti, vasi, nervi,tendini, borse, sottocute e cute)(8).
MATERIALI E METODI
La revisione della letteratura si concentra su letteratura pubblicata tra il 1970 ed il 2009
FISIOPATOLOGIA
CLASSIFICAZIONE NOSOGRAFICHE DELLE METATARSALGIE
1) Da malattie sistemiche o extradistrettuali:
a) vascolare
b) metaboliche
c) reumatiche
2) Da malattie distrettuali:
a) della cute e del sottocute
b) delle borse e dei tendini
c) dei nervi
d) ossee ed articolari
e) neoplastiche
3)biomeccaniche
iperpronazione sottoastragalica,
lassità,
piede cavo
alterata funzionalità di uno o più metatarsali
Malattie sistemiche o extradistrettuali
L’ attività sportiva aumenta la quantità di sangue che circola nell’ organismo e può raggiungere valori massimi quasi doppi rispetto ad un sedentario e per tale motivo anche il sistema circolatorio, costituito da vasi arteriosi e venosi, deve adattarsi alla richiesta di potenziamento. Gli adattamenti riguardano sia i vasi di piccolo calibro, arteriose, venule e capillari cioè il microcircolo, che quelli di medio e grosso calibro con un aumento di numero di capillari ( capillarizzazione )ed un aumento di calibro per arterie e vene. Il fenomeno di capillarizzazione, tipico delle attività aerobiche o di resistenza ha importanti ripercussioni positive ai fini della prevenzione delle patologie cardiovascolari e metaboliche. ( 31)
Un capitolo di metatarsalgie piuttosto rare negli sportivi sono quelle di origine vascolare quali le arteriopatie ostruttive, le sindromi vascolari funzionali come il fenomeno di Raynaud, l’ acrocianosi. Più frequenti possono essere le flebopatie, quali la trombosi venosa profonda, la tromboflebite acuta e l’ insufficienza venosa. Nella valutazione clinica è quindi importante valutare temperatura del piede, il colore ed i polsi arteriosi.(15)
Le malattie metaboliche sistemiche che possono dare manifestazioni cliniche a livello metatarsale sono il diabete, la gotta .e l’ osteoporosi. L’ attività fisica svolta dagli sportivi tende a proteggerli dalle malattie metaboliche o dalle complicanze agli arti inferiori, quindi sono manifestazioni patologiche non molto frequenti. Nell’ ultimo ventennio, l’ atteggiamento dei medici nei confronti del diabete mellito è cambiato molto ed oggi l’ attività fisica e sportiva è considerata utile ai fini preventivi, in grado di limitare l’ insorgenza e la progressione della malattia e favorire un miglior controllo dello stato metabolico . Essendo il diabete una patologia complessa è necessario un approccio multidisciplinare con partecipazione di diabetologo, dietologo, medico dello sport, cardiologo ortopedico e podologo. ( 31) Il diabete predispone a neuropatia e arteriopatia distale, la prima determina la riduzione della sensibilità tattile e dolorifica, squilibrio della muscolatura intrinseca del piede con sovraccarico metatarsale e secchezza dell’ epidermide. L’ arteriopatia diabetica interessa spesso le estremità distali dei piedi e si manifesta con ulcerazioni di difficile guarigione, gangrena secca quando è interessata la componente arteriosa e umida se prevale la componente ostruttiva venosa.
La metatarsalgia rappresenta spesso la prima manifestazione clinica della gotta, ma fa parte di un complesso clinico a localizzazioni multiple articolari,epatiche ,renali e cardiovascolari dovute all’ iperuricemia. Il piede gottoso si presenta sotto due differenti aspetti: artrite acuta e gotta cronica.
L’artrite acuta ha esordio improvviso e notturno colpisce tipicamente la prima articolazione metatarso-falangea con dolore, edema e pelle a buccia d’ arancia.
La gotta cronica rappresenta l’ evoluzione lenta e progressiva della malattia con alternanza di crisi acute e periodi di benessere. Si verifica accumulo di cristalli di urato di sodio nel liquido sinoviale e nei tessuti molli periarticolari, dopo alcuni anni dalla crisi iniziale si realizza la gotta tofacea. La zona più colpita sono le articolazioni metatarso-falangee e successivamente le restanti articolazioni del piede. Clinicamente le metatarso-falangee presentano edema dei tessuti periarticolari , limitazione articolare e distruzione dei capi articolari.
La terapia appropriata della gotta al suo esordio nella fase acuta può guarire la malattia ed evitare la degenerazione tipica della gotta cronica.(16)
Alcuni tipi di malattie reumatiche quali, l’ artrite reumatoide, la sindrome di Reiter, la spondiloartrite anchilosante e l’ artrite psoriasica, spesso interessano l’ area metatarsale con patogenesi osteoarticolare, tenovaginitica e borsitica.
Nell’ artrite reumatoide l’ interessamento dell’ avampiede è quasi sempre costante e precoce. L’ artrite reumatoide colpisce il piede in due modi: prima l’ iperplasia e l’ ipertrofia sinoviale portano alla distensione delle strutture capsulari con lassità legamentosa e squilibrio muscolare, successivamente l’ evoluzione del processo infiammatorio porta alla distruzione enzimatica della cartilagine, dei tessuti periarticolari e delle normali strutture di stabilizzazione articolare con sublussazione e lussazione dorsale delle articolazioni metatarso-falangee, con rottura della placca glenoidea plantare attraverso la quale protrudono le teste metatarsali erose e deformate dal panno infiammatorio. Il dolore è conseguente allo stato infiammatorio ed all’ alterata biomeccanica. Tutto ciò comporta la comparsa di metatarsalgia, ipercheratosi e talvolta ulcerazioni da sovraccarico. Nel quadro evolutivo rientra anche l’ alluce valgo, fragilità cutanea e osteoporosi per la terapia con corticosteroidi.
L’ artropatia psoriasica si presenta spesso all’ avampiede con le caratteristiche dell’ artrite reumatoide e talvolta associata ad un vera reumatoide. L’ interessamento del piede è precoce e può essere unilaterale, bilaterale, simmetrico o asimmetrico, generalmente meno distruttivo dell’ artrite reumatoide. Questa patologia è caratterizzata dalla presenza di dermatosi e dal dito a salsicciotto con le tipiche alterazioni ungueali.(17)
Malattie distrettuali
I tessuti molli plantari dell’ avampiede sono sottoposti a forze verticali e di taglio che normalmente vengono tollerate da essi. Maggiore è il loro spessore e maggiore è la loro capacità di ammortizzare e dissipare le sollecitazioni(12). A livello plantare la cute è più spessa perché è maggiore lo sviluppo dello strato corneo, anche il tessuto sottocutaneo è più spesso rispetto alla regione dorsale del piede. Il tessuto sottocutaneo è costituito principalmente da tessuto grasso contenuto in una impalcatura reticolare di tessuto fibroso che ne impedisce, sotto carico, lo schiacciamento permettendo il passaggio di vasi, nervi e tendini. Tale struttura reticolare impedisce inoltre la dislocazione del tessuto grasso ed ancora la cute all’ osso sottostante. Sotto ogni testa metatarsale può essere individuato un cuscinetto adiposo dotato di un piano di clivaggio rispetto al cellulare circostante. Il reticolo fibroso è organizzato in fibre longitudinali, verticali ed orizzontali che lo rendono in grado di ridistribuire e scomporre i carichi allargando la superficie d’ appoggio e resistere alle forze di taglio(13). Nel soggetto normale non sintomatico esiste quindi un equilibrio fra entità degli stress e capacità di assorbimento di questi da parte di tutte le strutture dell’ avampiede. Una metatarsalgia può quindi insorgere sia per aumento degli stress, ma anche per una riduzione della capacità di assorbimento degli stress stessi da parte della soletta plantare per perdita delle sue capacità meccaniche. Con l’ età la soletta plantare va incontro ad ipotrofia e perde in parte le sue capacità protettive nei confronti delle teste metatarsali. Tale situazione può essere favorita da patologie sistemiche quali il diabete e l’ artrite reumatide.
Un'altra causa di metatarsalgia sono le patologie dermatologiche quali bolle, macule, noduli, pustole, calli e verruche. Quest’ ultime sono una proliferazione epiteliale benigna dovuta all’ infezione virale da parte di alcuni tipi di papilloma virus umano.
Nelle zone di sovraccarico si può verificare un aumento dello spessore dello strato corneo con comparsa di ipercheratosi, queste possono avere aspetti differenti, il durone si presenta per un iperpressione in un area diffusa, il callo in un’ area circoscritta e il tiloma in un’ area puntiforme, queste alterazioni negli sportivi possono causare forti dolori che scompaiono con l’ asportazione e l’ uso di ortesi plantari ed esercizi muscolari di allungamento.
Patologie traumatiche che spesso interessano la cute degli sportivi sono le bolle plantari che si producono per frizione con calzini e calzature in sport di lunga durata, queste possono arrivare ad interessare i tessuti profondi.
Un vasto gruppo di lesioni che possono provocare metatarsalgia è quello delle neoplasie di cute e sotto cute e ossee anche se peraltro molto rare, come l’ osteoma osteoide, condroblastoma, sarcoma, tumore a cellule giganti, melanoma e metastasi tumorali(14).
Le alterazioni delle borse sierose sono frequentemente riscontrate negli sportivi, sono caratterizzate da ispessimento per compressione cronica eccessiva delle parti molli contro il suolo o la scarpa. Comunemente si possono riscontrare borsiti sopra ad un’ esostosi dorsale che coinvolge la base del primo metatarsale ed primo cuneiforme soprattutto in casi di piede cavo anteriore, oppure si possono sviluppare su larghe esostosi dorsali o mediali della prima metatarso-falangea nei casi di alluce rigidi o valgo. Si può riscontrare in corrispondenza della 5° articolazione metatarso-falangea in caso di 5° metatarso varo. Sotto la prima articolazione metatarso-falangea le borsiti possono associarsi a sesamoidi ipertrofici, irregolari, osteoartritici, e come tutte le altre articolazioni metatarso-falangee le borsiti possono insorgere per alterazioni biomeccaniche che causano un sovraccarico in corrispondenza di queste regioni.
Talvolta si riscontrano borsiti traumatiche acute per un trauma violento.
Le tendiniti che possono provocare metatarsalgia sono quelle infiammatorie delle patologia reumatiche e la tendinite del flessore lungo dell’ alluce che provoca dolore in corrispondenza al nodo di Henry sotto la base del primo metatarsale o sotto la testa del primo metatarsale dove scorre tra i sesamoidi(18)
Radicolopatie e neuropatie periferiche sono patologie frequenti nella popolazione sportiva, possono determinare una sindrome dolorosa all’ avampiede o al piede e può estendersi prossimamente all’ arto inferiore. Le prime sono caratterizzate da un coinvolgimento di più nervi periferici con distribuzione bilaterale e progressione centripeta. Le seconde sono caratterizzate dall’ interessamento di un singolo nervo con distribuzione esclusiva della sintomatologia nell’ area di innervazione di questo. Le sindromi canalicolari sono espressione di una neuropatia meccanica da intrappolamento dei nervi periferici della caviglia e del piede, la neuropatia si realizza in punti anatomici ben identificati, quasi sempre in seguito ad una sofferenza microtraumatica del tronco nervoso e a secondo della localizzazione la sintomatologia può essere plantare o dorsale. La sintomatologia disestesica dolorosa plantare è sostenuta dalle sindromi canalicolari del nervo tibiale posteriore e dei sui rami denominata tunnel tarsale mediale, dei nervi interdigitali plantari denominata Civinini-Morton.
Immagine RMN di neuroma di Morton
La sintomatologia disestesica dolorosa dorsale può essere causata da una sindrome canalicolare del nervo peroniero profondo, sindrome del tunnel tarsale anteriore, sindrome canalicolare del nervo peroneo superficiale e dei nervi cutanei dorsali del piede. La terapia si basa su quattro diversi mezzi terapeutici che possono essere usati da soli od in combinazione: terapia medica generale ed infiltrazioni locali, terapia fisica strumentale e chinesi terapia, terapia ortopedica con immobilizzazioni ed ortesi e terapia chirurgica con neurolisi(19).
Le patologie ossee ed articolari che interessano l’ area metatarsale negli sportivi sono rappresentate da lesioni osteocondrali, fratture da stress. Le lesioni osteocondrali sono alterazioni su base traumatica o microtraumatica che interessano la cartilagine articolare, l’ osso subcondrale o entrambi questi distretti. L’ osteocondrosi può esordire anche in giovane età con la malattia di Freiberg anche se piuttosto rara ed interessa gli adolescenti tra i 12 ed i 15 anni principalmente a carico della 2° testa metatarsale( 68%)e 3° testa (27%), ma in realtà è stato possibile evidenziare tale patologia anche in soggetti la cui età variava da 8 a 77 anni. La malattia infatti pur iniziando in età evolutiva, in molti casi non si manifesta clinicamente fino a quando non si realizza un’ artrosi dell’ articolazione interessata. Se si manifesta tra i 12 ed i 15 anni si presenta con dolore al carico e alterazioni strutturali della testa del metatarsale interessato che si presenta irregolare ed appiattita.(20)
Le lesioni osteocondrali da traumi sportivi interessano principalmente la prima articolazione metatarso-falangea, e la seconda se il secondo metatarsale è particolarmente lungo rispetto al primo. Le lesioni possono consistere in distacchi condrali od osteocondrali sia sul versante metatarsale che sesamoideo, in particolare mediale. Le attività maggiormente implicate sono running di lunga durata, marcia, lo sci di fondo tennis, calcio pattinaggio e danza. La sintomatologia consiste in dolore articolare cronico con episodi di sinovite e limitazione funzionale, la terapia si avvale di antinfiammatori ed infiltrazioni di acido ialuronico a medio-basso peso molecolare per avere una risposta rigenerativa..(21) A livello della prima articolazione metatarso-falangea si può verificare una distorsione della porzione plantare della capsula articolare. E’ tipicamente il risultato dell’ iperestensione forzata dell’ articolazione, come potrebbe verificarsi nelle mischie del rugby o di altri sport d’ impatto. E’ di più frequente riscontro sulle superfici di gioco sintetiche. L’ articolazione metatarso-falangea è dolente tumefatta e l’ atleta assume un andatura con il piede antalgica e non propulsiva(22).
Le patologie ossee nello sport possono essere da trauma acuto con frattura o per microtraumatismo ripetuto che provoca uno stadio prefratturativo e se non curato esitare in fratture da stress.
Le fratture da trauma acuto interessano principalmente il 5° metatarsale ed i sesamoidi e sono abbastanza frequenti in traumatologia dello sport, colpendo soprattutto atleti praticanti basket, calcio, pallavolo. Le fratture che interessano il 5° metatarsale sono: frattura della tuberosità apofisaria, frattura diafisiaria prossimale (Jones’ s fracture) e frattura diafisiaria (dancer’ s fractures). . Nella prime due il meccanismo di frattura prevede un trauma a direzione verticale con il piede in inversione ed in equinismo a cui si deve aggiungere la contrazione riflessa del muscolo peroneo breve il cui tendine si inserisce proprio sulla tuberosità apofisiaria.
Per la diagnosi è sufficiente la clinica ed una radiografia, il trattamento per la frattura apofisiaria si avvale di gambaletto gessato per 4-6 settimane seguita da fisioterapia. Per la frattura diafisiaria prossimale la scelta fra il trattamento conservativo e chirurgico è controversa. Si tratta infatti di un tipo di lesione con un lento processo riparativo per il tipo di per fusione vascolare terminale di questa zona. Tutto ciò ad un elevato rischio di ritardo di consolidazione e pseudoartrosi ed aumenta il rischio di rifratture. Il trattamento conservativo considera tempi di immobilizzazioni gessata in scarico fino a 8-9 settimane. Il trattamento chirurgico si avvale di viti o fili di kirschner e gambaletto gessato.(23)
Le fratture della diafisi del 5° metatarsale o dancer’s fractures sono generalmente a decorso spirale o obliquo, il meccanismo di lesione vede quasi sempre una posizione
di demipointe con carico massimale sulle teste metatarsali e caviglia in posizione di completa flessione plantare. Il trattamento dipende dal grado di scomposizione della frattura. Nelle fratture composte è sufficiente un gambaletto gessato per 4-5 settimane con ripresa della piena attività sportiva dopo 8-10 settimane, nelle fratture scomposte è necessario un trattamento chirurgico di riduzione a cielo aperto con fissazione con filo di Kirschner endomidollari gambaletto gessato e ritorno all’ attività sportiva dopo 5-6 mesi.(24)
Le fratture da trauma acuto dei sesamoidi, generalmente il tibiale o la lussazione sono una patologia piuttosto frequente per l’ aumento della pratica sportiva su terreni artificiali e calzature molto flessibili, nelle lussazioni il trattamento chirurgico consiste nel riposizionare il sesamoide e suturare il legamento.(25) Nelle fratture se con il riposo e lo scarico non si ottiene una remissione dell’ algia si effettua l’ asportazione chirurgica del sesamoide.(26).
Le fratture e prefratture da stress sono causate da una seri di sollecitazioni ripetute e cicliche che superano la capacità di resistenza di un osso sano, con prevalenza dell’ attività osteoclastica di riassorbimento rispetto a quella osteoblastica di apposizione.(27)
Le fratture e le prefratture da stress possono verificarsi in molte zone del piede negli sportivi, e sfuggono facilmente alla documentazione radiografica e possono quindi non essere diagnosticate e trattate in modo adeguato causando una significativa invalidità.
Nella foto si può vedere la frattura
Il meccanismo di lesione è quasi sempre un cambiamento di attività, come un aumento di carichi di allenamento troppo repentino o nuovi gesti atletici; talvolta il cambiamento può avvenire nell’ atleta, ad esempio un influenza che impedisce per una settimana l’ allenamento può indebolire la resistenza scheletrica a tal punto da produrre una frattura da sforzo alla ripresa del normale regime di allenamento. I siti più comuni sono di lesione sono le dialisi del 2° metatarsale, fino al 5° metatarsale ed i sesamoidi. Le lesioni sul terzo distale del 2° o 3° si riscontrano più comunemente in atleti impegnati in attività di corsa su lunghe distanza. Le fratture della base del 2° si riscontrano nei ballerini di danza classica. Le fratture da stress del terzo prossimale del 5° e dei sesamoidi sono più comuni negli sport che praticano la corsa con rapidi cambi di direzione come il basket. Il dolore inizialmente si verifica verso la fine dell’ attività, con il tempo i sintomi si presentano prima e durano di più, spesso persistendo oltre il periodo dell’ attività sportiva. Il mezzo diagnostico più indicato specialmente all’ esordio è la scintigrafia, a distanza di tempo può essere utile anche l’ esame radiografico in quanto si può rilevare una risposta di guarigione dell’ osso. Il trattamento consiste nella riduzione dell’ attività fino alla scomparsa del dolore, l’ utilizzo di ortesi plantari ove possibile, seguito da una graduale ripresa evitando qualsiasi sintomo nello stadio di prefrattura, immobilizzazione e rimozione del carico e talvolta l’ intervento chirurgico nelle fratture gravi.(28)
I tumori che possono interessare l’ area metatarsale sono relativi ai tessuti molli, al tessuto osseo ed alla cute.
Le neoplasie dello scheletro e dei tessuti molli nel piede sono relativamente rari, la Società Americana di Ortopedia e Traumatologia, ha stimato circa il 5% la percentuale di localizzazione al piede di tali patologie. La frequenza di osservazione di neoplasie a partenza dai tessuti molli supera quella dei tessuti ossei con un rapporto di di 10:1, e l’ incidenza delle patologia benigne è del 80-90 % contro un 20-10 % di tumori maligni. Le lesioni tumorali o simil tumorali benigne sono rappresentate dal condroma che è la forma più frequente, il fibroma, l’ osteoma osteoide, la sinovite villonodulare pigmentosa, il condroblastoma, l’ osteoblastoma, l’ osteocondroma, il tumore a cellule giganti. Le patologie maligne sono rappresentate dal sinivial sarcoma che ha una netta prevalenza nell’ avampiede, il fibroma condromixoide, il condrosarcoma ed il liposarcoma. Nonostante la rarità di queste patologie bisogna tenere in considerazione la possibilità della loro insorgenza anche negli atleti. Il quadro clinico anamnestico, gli aspetti radiografici, l’ aspetto macroscopico alla biopsia ed il risultato istologico rappresentano anche nell’ avampiede, l’ iter indispensabile per una corretta diagnosi.(29)
Il melanoma è una neoplasia maligna, rara che può interessare la cute del piede, può evolvere attraverso un periodo radiale seguito da una fase a sviluppo verticale, oppure avere un espansione piuttosto superficiale. La localizzazione nel piede rende la lesione più aggressiva per il continuo traumatismo con la calzatura e l’ impatto con il suolo. Anche la presenza di nei nell’ area plantare non va sottovalutata in quanto lo sfregamento e gli urti per il cammino e la corsa potrebbero alterare o accelerarne l’ evoluzione maligna.
Da una ricerca epidemiologica condotta nel 1999 da Bardelli e Torelli l’ incidenza del dolore a carico del piede, escludendo l’ articolazione tibio-tarsica, è di quasi 8 a 1 a favore dell’ avampiede su un totale di 997 piedi dolorosi 878 erano metatarsalgie e la maggiorparte appartenevano al gruppo delle alterazioni biomeccaniche.(8)
Una delle cause più frequenti di metatarsalgia negli sportivi è rappresentata da alterazioni della biomeccanica del piede ed in particolare da tutte quelle situazioni caratterizzate da una pronazione anomala dell’ articolazione sottoastragalica, le quali vengono denominate sindromi pronatorie del piede (9).Una persona normale compie in una giornata in media dai 10000 ai 15000 passi e l’ avampiede, per oltre il 40% di ogni passo, sopporta il peso del corpo. Esso inoltre provvede all’ accelerazione del corpo e durante i gesti sportivi sopporta stop e scatti improvvisi ed elevate forze di taglio. Alla regione metatarsale compete, congiuntamente con il retropiede ed in minima misura al mesopiede, il trasferimento dei carichi dal piede al terreno durante la fase d’ appoggio della deambulazione. La fase d’ appoggio della deambulazione comprende la fase di contatto del tallone al suolo, la fase di appoggio di tutto il piede e la fase di appoggio dell’ avampiede e delle dita durante il quale il carico passa progressivamente dai metatarsali più laterali alle dita corrispondenti e da ultimo all’ alluce. Alle articolazioni metatarso-falangee compete, durante il periodo propulsivo, la trasmissione dei carichi dal metatarso alle dita. I tipi di metatarsalgia corrispondenti sono quelli a patogenesi biomeccanica, derivano dalla compromissione della funzione di trasmissione dei carichi dal piede al suolo da parte dei metatarsali e dalle dita. La deambulazione si realizza attraverso una serie di movimenti, innanzitutto sul piano traverso ed in misura minore sui piani sagittale e frontale. Ogni movimento dell’ arto in appoggio è prodotto da una forza che trasmessa al suolo provoca una reazione uguale e contraria. Le reazioni del terreno si possono scomporre in forze verticali e forze di taglio orizzontali, sagittali, trasversali e torsionali. Durante la fase di appoggio queste forze subiscono continue variazioni d’ intensità, raggiungendo il loro massimo durante l’ atterraggio e nella fase propulsiva soprattutto per le forze verticali che possono superare di molto il peso corporeo. Fanno eccezione le sole forze torsionali, per le quali la massima intensità si raggiunge alla fine della mid-stance. L’ interazione delle forze a livello articolare può provocare compressione, inclinazione o rotazione reciproca dei capi articolari, mentre la compressione che si esercita sui capi articolari favorisce la trasmissione delle forze senza compromettere l’ integrità e stabilità articolare, le forze che provocano un’ inclinazione o una rotazione reciproca dei dei capi articolari (momenti di forza rotatori) devono essere contrastate dalla resistenza delle strutture capsulo-legamentose e dall’ azione muscolare, perché sia preservata l’ integrità articolare. Se prevalgono i momenti di forza rotatori sulle forze di compressione, le articolazioni possono divenire instabili; i muscoli sono costretti ad un maggiore lavoro per controllare i movimenti e i capi articolari possono essere sollecitati a muoversi in direzioni diverse da quelle fisiologiche e o oltre i limiti fisiologici di movimento. Parliamo in questi casi di ipermobilità. Capsule e legamenti per effetto di sollecitazioni anomale e prolungate, cedono: le articolazioni diventano lasse ed i capi articolari possono prima sublussarsi e poi lussarsi. All’ ipermobilità deve imputarsi la comparsa di deformità, sub lussazioni e lussazioni delle articolazioni metatarso-falangee, mentre la perdita della congruenza articolare è la responsabile della comparsa di manifestazioni artrosiche. L’ eccessivo movimento delle ossa comporta un’ aumento degli sfregamenti delle parti molli perischeletriche rispetto alle calzature, mentre l’ aumento delle sollecitazioni di taglio sulle parti molli plantari, fissate da un lato al suolo e dall’ altro a segmenti ossei ipermobili, provoca la comparsa di borsiti e di lesioni cutanee. La massima efficienza nella trasmissione delle forze si ha in quelle situazioni in cui le forze di compressione si esprimono al massimo . In queste condizioni ideali è minimo lo sforzo di muscoli e legamenti per stabilizzare le articolazioni. Quando l’ articolazione sottoastragalica è supinata l’ asse obliquo di rotazione dell’ articolazione mediotarsica forma un angolo minore rispetto al piano sagittale . In queste condizioni le reazioni del terreno esercitano sulle superfici articolari della mediotarsica un’ azione di compressione molto maggiore del momento di rotazione che deriva dalla loro scomposizione rispetto all’ asse di rotazione: l’ avampiede è stabilizzato, si blocca sul retropiede e pertanto i metatarsali sono in grado di trasmettere il carico al suolo e alle rispettive dita. Al contrario, quando l’ articolazione sottoastragalica è pronata, l’ asse obliquo dell’ articolazione mediotarsica è maggiormente inclinato rispetto al piano sagittale, maggiori sono le capacità di movimento della mediotarsica su questo piano e le reazioni del terreno inducono momenti di forza rotatori, che tendono a provocare una dorsiflessione dell’ avampiede sul retropiede e che prevalgono sulle forze di compressione: l’ avampiede e quindi tutti i metatarsali divengono ipermobili. In un limitato numero di casi la metatarsalgia può essere imputata ad una riduzione dell’ area delle superfici d’ appoggio e quindi un aumento dei carichi per unità di superficie, ciò si può riscontrare in casi di natura post-traumatica, neurologica, o alterazioni morfologiche marcate di piede cavo.
I fattori anatomici dell’ avampiede che vanno considerati per la loro importanza nella genesi, l’ evoluzione ed il trattamento delle metatarsalgie sono sostanzialmente tre: formula metatarsale, allineamento metatarsale in carico e parti molli in carico.
La formula metatarsale è data dal rapporto in senso antero-posteriore fra gli estremi distali delle teste metatarsali. La formula metatarsale è influenzata oltre che dai rapporti assoluti di lunghezza dei metatarsali, dalla loro inclinazione, che può farli apparire relativamente più lunghi o più corti in proiezione radiografica. Da uno studio su una popolazione di soggetti “normali” la formula più frequente riscontrata è 2>1>3>4>5, le formule che si avvicinano a questi valori mostrano un andamento regolarmente parabolico. Un alterazione di questa disposizione, fisiologica, congenita, o acquisita porta sicuramente ad una compromissione della distribuzione dei carichi a livello dell’ avampiede, con relativa concentrazione delle reazioni del terreno sulle teste metatarsali che si vengono a trovare in posizione più avanzata e sulle quali tende a gravare l’ azione di fulcro durante il periodo propulsivo della deambulazione(10).
L’ allineamento frontale in carico dei metatarsali studiato da Martorell stabilisce l’ assenza di un arco trasverso anteriore e che in stazione eretta il carico si ripartisce sui metatarsali secondo un rapporto di 2-1-1-1-1 andando del 1° al 5° metatarsale. Se i raggi metatarsali posseggono capacità dorsiflessorie diverse, può avvenire che in carico, essi appoggino tutti sullo stesso piano, ma solo quelli dotati di minor capacità dorsiflessoria contrastino le reazioni del terreno e solo su di essi si concentrino quindi le forze. Perché il carico si possa distribuire fisiologicamente su tutte le teste metatarsali e non compaiano disturbi, sarebbe quindi necessario che tutti i metatarsali si venissero a trovare in stazione eretta a fondo corsa dorsiflessoria e quindi ugualmente in grado di contribuire alla trasmissione delle forze fra piede e suolo(11). Studi più recenti hanno stabilito che la mobilità dei vari raggi è fisiologicamente diversa. I tre raggi metatarsali centrali hanno le minori capacità di movimento e si muovono solo sul piano sagittale, mentre il 1° ed il 5° hanno una maggiore mobilità e non solo sul piano sagittale(12).
L’ insufficienza del primo raggio costituito da 1° cuneiforme, 1° metatarsale, e le due falangi può determinare alterazioni patologiche nell’ arto inferiore e nel piede con sovraccarico e metatarsalgia a carico del secondo e terzo metatarsale. In questa patologia il sostegno importante del 1° metatarsale viene ad essere diminuito per varie cause come l’ ipermobilità, la deviazione in varo, l’ elevazione dell’ osso.(30).
DIAGNOSTICA STRUMENTALE
Le patologie che sono causa di metatarsalgia possono avere sede in qualsiasi componente anatomica del piede, il primo compito della diagnostica per immagini è la visualizzazione di queste per evidenziare alterazioni dei loro rapporti. Lo studio morfologico si avvale di differenti metodologie di imaging, ciascuna delle quali presenta una accuratezza e specificità diversa per i vari tipi di tessuto da esaminare. Per lo studio dei tessuti molli sono indicate la tecnica ecografia e la risonanza magnetica nucleare, mentre per lo studio delle strutture ossee sono indicati l’ esame radiografico, la tomografia assiale computerizzata e la scintigrafia.
I rapporti tra le strutture ossee devono essere esaminate sotto carico e solo l’ RX consente lo studio del piede in ortostatismo, inoltre è uno degli esami di primo livello per valutare alterazioni ossee. La TAC è la metodica di secondo livello nelle patologie degenerative articolari nelle malformazioni e nei traumi complessi perché fornisce informazioni maggiori e più precise dell’ RX. La TAC è indicata quando vi è discordanza tra il quadro clinico sintomatologico e la negatività dell’ esame radiografico.(32)
La scintigrafia presenta una sensibilità diagnostica nelle prefratture e fratture da stress. Nelle altre patologie relative all’ avampiede non presenta alcun indicazione.(33)
L’ esame ecografico è indicato per lo studio dei tessuti molli ed è considerato di primo e di secondo livello ed operatore dipendente. Questa metodica è utile per visualizzare stati infiammatori, degenerativi, lesioni di tendini, legamenti, muscoli, nervi, borse sierose, tessuti periarticolari, cisti e neoformazioni non ossee. Questa metodica può essere di secondo livello a seguire ad un RX quando non si rileva alcuna alterazione ma permane una sintomatologia dolorosa come ad esempio nelle distorsioni.(34)
L’ esame ecografico con associato il color doppler consente anche una valutazione della funzionalità dell’ apparato vascolare, venoso ed arterioso
La RMN è un esame strumentale di secondo livello che permette di visualizzare alterazioni e sofferenze del tessuto osseo e dei tessuti molli.
Per ciò che concerne la formazione dell’ immagine RMN, nelle immagini T1 il tessuto adiposo midollare invia un alto segnale responsabile del tenore bianco dell’ osso, mentre l’ acqua libera extracellulare ( edema) invia un basso segnale responsabile del tenore scuro dell’ immagine. Al contrario nelle sequenze T2 il tessuto adiposo si presenta in tonalità più scura e l’ acqua extracellulare di tonalità più chiara. Esistono poi sequenze particolari come la STIR in grado di enfatizzare tali alterazioni, in quanto in esse viene annullato selettivamente il segnale proveniente dalla componente adiposa endomidollare cosicchè l’ osso compare uniformemente scuro, e viene enfatizzato il segnale proveniente dal liquido extracellulare ( edema ) bianco che marca le aree criticamente esposte al sovraccarico. In questo modo è possibile evidenziare il danno indotto sia esso lieve come edema midollare o più grave come osteonecrosi.(35) Anche nelle prefratture e fratture da stress la metodica può essere dirimente mostrando nelle fasi iniziali una focalizzata area di segnale alterato, bassa in T1 e alta in T2. La RMN permette inoltre la visualizzazione delle alterazioni dei tessuti molli quali cartilagini, tendini, legamenti, borsiti, artropatie infiammatorie, reumatiche, neuroma di Morton, sesamoidite.(36)
Gli esami ematochimici sono un importante aiuto per stabilire se alcune forme di metatarsalgie possono essere di origine autoimmune, metaboliche, o infettive.
L’ esame baropodometrico dell’ appoggio plantare può essere di aiuto per una miglior valutazione meccanica e biomeccanica dei carichi.
Terapie
Le metatarsalgie costituiscono una serie eterogenea di affezioni che si possono dividere i tre gruppi: sistemiche, distrettuali e biomeccaniche. Nelle patologie sistemiche rientrano le metatarsalgie secondarie a patologie vascolari, metaboliche, reumatologiche. La cura in questi casi è indirizzata alla patologia sistemica e se necessario anche locale.
Il trattamento distrettuale può essere topico, intratissutale, intraarticolare, chirurgico, fisiokinesiologico e ortesiologico.
Il trattamento delle cause biomeccaniche può essere ortesico, fisiokinesiologico e chirurgico.
Nella metatarsalgia che interessa borse, e tendini si può utilizzare assunzione orale, applicazioni topiche o infiltrazioni intratissutali di FANS o corticosteroidi, impacchi di argilla e diminuzione del carico e intensità di allenamenti.
L’ interessamento neuropatico può essere nevralgia, neurite, neurinomi benigni che possono interessare qualsiasi nervo interdigitale. Il più frequente è il neuroma di Morton generalmente localizzato nel 3° o 4° spazio intermetatarsale. La terapia nelle nevralgie e neuriti si avvale di, antinfiammatori FANS o cortisonici orali o intratissutali, nel neuroma di Morton di ortesi plantari, infiltrazioni ecoguidate nel tessuto alterato di cortisonici a lento rilascio o di alcool se le dimensioni del neuroma sono inferiori a 8-10 mm e se non efficace si ricorre alla neurectomia chirurgica.
Le infiltrazioni articolari e periarticolari sono impiegate nella patologia degenerativa ed infiammatoria articolare e nelle tendinopatie inserzionali, i farmaci più utilizzati sono FANS, corticosteroidi, anestetici ed acido ialuronico.
Le metatarsalgie di origine biomeccanica vanno affrontate in prima istanza con un approccio conservativo e qualora non sufficiente con un trattamento chirurgico. Il trattamento conservativo si avvale di antinfiammatori, ortesi plantari e fisiocinesiterapia. Il comune denominatore eziologico è lo stress meccanico che colpisce un distretto che finisce per danneggiare tessuti molli ed articolari. Il dolore è tipicamente esacerbato dal movimento e dal carico. Il compito dell’ ortesi plantare è quello di permettere una funzione articolare migliore ed una diminuzione del carico. Si utilizzano mezzi fisici analgesici e o antinfiammatori. Nei quadri acuti infiammatori si utilizzano applicazioni alternate di freddo di 10- 15 minuti e riduzione del carico sportivo. Per la riduzione dell’ infiammazione si possono usare applicazioni di ultrasuoni a bassa intensità, e correnti diadinamiche.
La terapia kinesiologica mira soprattutto a mantenere o a recuperare la mobilità mediante esercizi di mobilizzazione attiva, passiva, delle dita ed esercizi di allungamento e potenziamento muscolare dei muscoli intrinseci del piede ed in particolare dei flessori e degli estensori delle dita. Il solo allungamento è indicato per i muscoli posteriori della gamba, in quanto l’ incremento in dorsiflessione del ROM della tibio-tarsica riduce il sovraccarico meccanico sull’ avampiede. Il programma di rieducazione deve comprendere anche l’ addestramento dello sportivo affinché sappia fare gli esercizi utili a prevenire la metatarsalgia .
Come ausili nella terapia e nella prevenzione di basilare importanza sono l’ utilizzo di calzature con maggiore potere ammortizzante durante gli allenamenti e se possibile in gara e di ortesi plantari per migliorare la funzionalità del piede e dell’ arto inferiore.
CONCLUSIONI
L’ approccio multidisciplinare nella cura delle metatarsalgia permette una visione globale della possibile eziologia ed una più corretta cura. Le cause possono essere molteplici, le più frequenti sono di origine biomeccanica e distrettuale ma è importante considerare l’ esordio come una possibile punta di un’ iceberg che potrebbe nascondere una patologia sistemica o extradistrettuale.
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Università degli Studi di Bologna
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Corso di laurea in Podologia
VALUTAZIONE CLINICA E TRATTAMENTO
ORTESICO
DELLA SINDROME PRONATORIA
Tesi di laurea in Malattie dell'apparato locomotore
Podologia Speciale II
Relatore Presentata da
Chiar.mo prof. SANDRO GIANNINI TIBERIO TOMMASINI
INTRODUZIONE
Questo lavoro ha come obiettivo di ricerca la valutazione clinica e l' efficacia del trattamento ortesico nelle sindromi pronatorie del piede nel paziente adulto.
La sindrome pronatoria è un anomalia della normale biomeccanica statica e dinamica del piede e dell'arto inferiore. Questa alterazione, se in presenza di disturbi funzionali e sintomatici, rappresenta una frequente causa di consultazione specialistica ed indicazione a trattamento ortesico plantare. Le deformità che generalmente vengono indicate con il termine di piede piatto sono sicuramente accomunate, anche se con diverse caratteristiche, da una compromissione della funzionalità del piede nel senso di una sindrome pronatoria. Questa è definita come un eccessivo movimento dell' estremità inferiore con fulcro a livello dell'articolazione sottoastragalica. La pronazione del piede è anormale se è eccessiva durante qualsiasi fase della deambulazione o se avviene quando il piede dovrebbe essere supinato e più frequentemente si manifesta per compensare anomalie ossee o funzionali dell' arto inferiore. La pronazione della sottoastragalica, da atteggiamento compensatorio facilmente correggibile, tende a divenire nel tempo una vera deformità, che si accompagna ad un aumento delle reazioni del terreno sulla porzione mediale dell' avampiede ed in particolare sul primo raggio in direzione dorsiflessoria con una sollecitazione in supinazione sull' asse longitudinale della mediotarsica.
Talvolta la pronazione eccessiva si può estendere anche all' articolazione tibiotarsica con coinvolgimento soprasegmentario, determinando un movimento di intrarotazione tibiale e femorale ed è più grave quando persiste durante il periodo propulsivo e quando più brusco e maggiore è il movimento pronatorio. Tutto ciò può essere causa di gravi compromissioni a carico delle articolazioni e delle parti molli perischeletriche, fino a causare deformità a carico dell' avampiede. Nel piede, più che in qualunque altra regione anatomica del corpo umano, le variazioni nella conformazione delle articolazioni scheletriche e le loro reciproche correlazioni modificano profondamente la stabilità, il profilo anatomico e la funzione. Questa situazione può causare una notevole varietà di patologie, tra le quali: ipercheratosi plantari, deformità iperostosiche, sperone calcaneare, fascite plantare, neuroma di Morton, alluce valgo, alluce rigido, infiammazioni tendinee, gonalgi.
Il trattamento della sindrome pronatorianell' adulto generalmente è ortesico, la progettazione e la costruzione ricercano l' obiettivo di alleviare la sintomatologia dolorosa e di ripristinare una corretta funzionalità del piede con l' utilizzazione permanente del plantare. Il trattamento ortesico ha una funzione preventiva sull' evoluzione delle patologie sopra citate in quanto permette al piede di avere un miglioramento dei rapporti articolari e della funzionalità.
Lo scopo di questo studio è di riportare i risultati di una ricerca bibliografica ed il trattamento di una paziente affetta da sindrome pronatoria, per poter trarre utili indicazioni nella correzione di tale alterazione.
CAPITOLO 1
IL PIEDE
IL PIEDE STRUMENTO FONDAMENTALE DELLA MOTRICITA’
Il piede estremità distale dell' arto inferiore, rappresenta l' espressione di un processo evolutivo che lo ha reso sempre più adatto allo svolgimento delle sue funzioni fondamentali di sostegno e di spostamento del corpo.
La realizzazione di questi due obiettivi, nel soggetto normale avviene con il minimo consumo di energia e senza che l' individuo avverta alcuna sensazione particolaredel piede.
Il processo evolutivo del piede, nell' ambito della filogenesi, porta ad un passaggio da piede pronato tipico dei rettili e primati ad una progressiva tendenza alla supinazione man mano che saliamo nella scala evolutiva. Anche nello sviluppo ontogenetico, che è la sintesi di quello filogenetico, troviamo un progressivonpassaggio dalla pronazione, fisiologica nei primi anni di vita, alla supinazionenell' età adulta.
Il piede si trova in un continuo stato di variabilità sia durante la deambulazioneche nella stazione eretta alternando sempre due assetti triplanari, la pronazione e la supinazione.
Nel contatto al suolo il piede prona divenendo una struttura flessibile, pronta ad adattarsi non sapendo cosa l' ambiente gli riserva, in questa fase si comporta come un organo sensoriale.
Nella successiva fase di spinta al suolo il piede funziona come una struttura rigida, supinando, diventa l' organo di moto, ossia l' effettore della risposta dell' informazione acquisita come organo sensitivo.
Perchè in un piede queste fasi pronatoria e supinatoria possono alternarsi in modo rapido e corretto è necessario che forma, funzione, anatomia, fisiologia e biomeccanicasiano strettamente correlate con reciproco condizionamento.
La conformazioneanatomica dei segmenti scheletrici ed i rapporti articolari, mantenuti saldi dall' apparato legamentoso, permettono al piede di avere una stabilità intrinseca e solo due movimenti complessi triplanari, la pronazione equivalente alla stato di rilasciamento, e la supinazionea quello di irrigidimento.
ANATOMIA FUNZIONALE DEL PIEDE
Il piede ha una conformazione ossea che, insieme all' apparato legamentoso, rende possibile solo due movimenti triplanari, la pronazione e la supinazione. Durante la fase di appoggio il piede si rilascia ed assume un assetto di pronazione attraverso una rotazione all' esterno del retropiede o eversione e ad una rotazione all' interno dell' avampiede, con un movimento assimilabile ad un elica nel momento di svolgimento, ed una diminuzione della volta plantare.
Nella fase di spinta il piede si irrigidisce ed assume un assetto in supinazione caratterizzata da una rotazione interna del retropiede o inversione e verso l' esterno dell' avampiede con un movimento assimilabilead un elica nel momento di avvolgimento, si ha un aumento dell' altezza della volta plantare ed un accorciamento del piede.
Le singole articolazioni partecipano ai due movimenti complessi triplanari di pronosupinazione, costituendo la catena cinematica del piede, all' interno di della più estesa catena cinematica dell' arto inferiore.
I movimenti complessi triplanari del piede si associano ai movimenti della articolazioni sovrasegmentarie attraversola cerniera cardanica della tibiotarsica e sottoastragalica.
Al movimento di pronazione del piede si associano flessione, adduzione ed intrarotazione della tibia, flessione del ginocchio, adduzione ed intrarotazione del femore.
Al contrario al movimento di supinazione del piede si associano estensione, abduzione ed extrarotazione della tibia, diminuita flessione del ginocchio, abduzione ed extrarotazione del femore.
ANATOMIA ARTICOLARE DEL PIEDE
ARTICOLAZIONE TIBIOTARSICA
L' articolazione della caviglia è composta dalle articolazioni tra il mortaio tibiale, la troclea dell' astragalo ed il perone distale, queste strutture formano le corrispondenti articolazioni: tibioastragalica, peroneoastragalica e tibioperoneale distale.
L' articolazione tibioastragalicaè costituita in realtà da due superfici articolari: una è quella tra l' ampia superficie convessa della troclea astragalica e quella concava della tibia; l' altra è quella tra la faccetta articolare prossimale, sulla superficie mediale del corpo dell' astragalo e la porzione più interna del malleolo tibiale.
Se osservato dall' alto, l' astragalo ha aspetto tronco conico e come tale la superficie articolare è più estesa anteriormente che posteriormente, con una differenza media di 2,4 mm.
L' articolazione peroneoastragalica è costituita dal rapporto articolare tra l' ampia faccetta della superficie laterale dell' astragalo e la porzione più interna del malleolo laterale peroneale.
L' articolazione tibioperoneale distale, è composta dalla superficie convessa della porzione più interna del perone distale e dalla corrispondente faccetta concava lungo il margine mediale della tibia distale.
L' allineamento delle varie superfici articolari della caviglia, come in tutte le altre articolazioni, definisce l' orientamento del risultante asse di motilità e carico.
Da un punto di vista strettamentefunzionale, l' articolazionedella caviglia può essere considerata un cardine o ginglimo articolare, che consente il movimento in un solo piano, intorno ad un singolo asse fisso. Il cosiddetto movimento di rotazione è quello di flessione dorsale e plantare. Si verifica primariamente nel piano sagittale intorno ad un asse simile per orientamento, a quello definito come asse X, del sistema di riferimento.
Tuttavia la sua esatta localizzazione è definita dalle articolazioni tra l' astraglo e le porzioni più interne dei due malleoli. L' allineamentointermalleolare nel piano trasverso rivela una posizione più anteriore del malleolo mediale rispetto a uello laterale; mentre nel piano frontale il malleolo laterale ha una posizione più caudale rispetto a quello mediale.
Il reale asse di rotazione origina appena distalmente all' apice del malleolo mediale, passa distalmente e posteriormenteattraverso il corpo dell' astragalo e raggiunge un punto appena distale ed anteriore all' apice del malleolo laterale.
Quantitativamente l' articolazionedella caviglia si colloca ad una media di 80° rispetto al piano di riferimento verticale, ed a 84° dall' asse longitudinale del piede.
Poiché questo asse devia dal reale piano frontale di orientamentodel piede di 6° e dal reale piano di orientamentotrasversale di 10°, il movimento intorno all' articolazionedella caviglia non può essere uni planare ma triplanare. FIG 1-1 PAG 1.
Questi sono in pratica i movimenti di pronazione e supinazione. La pronazione in scarico, infatti, comprende la flessione dorsale del piede nel piano sagittale, l' eversione nel piano frontale e l' abduzione nel piano trasversale.
Per contro la supinazionein scarico implica una flessione plantare, l' inversione e l' adduzione.
La flessione dorsale e plantare sono i movimenti triplanari principali e conseguentemente spiegno e giustificano la maggior parte della motilità che si attua a livello della articolazione della caviglia.
Il normale range di motilità della caviglia è di 70°, 20° in flessione dorsale e 50° in flessione plantare.
Una valutazionedella fase di appoggio del calcagno e di quella in cui si stacca dal suolo, rivela due distinte modalità di movimento.
Durante l' intervallo di tempo che va dall' appoggio calcaneare iniziale a quello di tutto il piede, cioè nel primo 15% del ciclo del passo, il movimento è essenzialmente quello dell' astragalo che si flette plantarmente al di sotto di una tibia relativamente immobile.
Questa motilità astragalica consente al piede di appianarsi al contatto con il suoloed è il movimento necessarioper attuare la pronazione del piede.
A seguito dell' appoggio del piede al suolo, la situazionesi inverte, in modo che è la tibia a ruotare sull' astragalo relativamentefisso ed immobile.
L' asse della flessione dorsale può essere descritto da due circonferenze di diverso raggio, la più ampia delle quali è laterale; pertanto la risultante configurazione è essenzialmente quella di un cono.
Quando la parte inferiore della gamba ruota in avanti sulla troclea astragalica, il raggio laterale più ampio, a curvatura minore, produce un maggiore spostamento antero posteriore del malleolo laterale, rispetto a quello mediale.
L' effettivo contatto articolare tra la superficie trocleare e la tibia si verifica per lo più lateralmente sull' astragalo.
La funzione di sostegno del carico aumenta di cinque volte la sollecitazione del peso del corpo nella fase del cammino dovuta alla contrazione del gastrocnemio e soleo; in quanto l' ampio momento della flessione plantare è prodotto dalla fase di stacco dal suolo.
Quest' ultimo contrasta il momento di flessione dorsale uguale ed opposto prodotto dalla forza reattiva di spinta del terreno.
Il perone gioca un ruolo sia cinetico che cinematico nella funzionalità articolaredella caviglia.
Esso veicola e trasmette un sesto della forza peso corporea presente in ciascuna articolazione della caviglia.
ARTICOLAZIONE SOTTOASTRAGALICA
L' articolazione sottoastragalica è costituita dalle articolazioni astragaliche distali, tra la parte inferiore dell' astragalo e quella superiore del calcagno. La superficie superiore del calcagno presenta generalmente tre faccette articolari: anteriore, intermedia e posteriore anche se è possibile identificare tre differenti configurazioni delle faccette articolari classificabili in: tipo A, con le faccette precedentemente descritte; tipo B, in cui le faccette anteriore e intermedia si congiungono in un’ unica ampia faccetta, con quella posteriore che rimane separata; e tipo C, in cui tutte e tre le faccette sono contigue, come tali la superficie superiore del calcagno si presenta con un’ unica ampia superficie articolare. La faccetta posteriore è la più estesa delle tre e presenta un profilo articolare variabile: è tipicamente convessa verso l’ alto ed è orientata un poco anteriormente. Le faccette articolari intermedia ed anteriore hanno entrambe una superficie concava, ma il loro orientamento spaziale è simile a quello della faccetta posteriore. La superficie intermedia è la più mediale, ed è localizzata sulla porzione superiore del sustentaculum tali. Situato tra le faccette intermedia e posteriore vi è il solco calcaneare che, insieme al corrispondente solco astragalico soprastante, da origine al seno del tarso. Le corrispondenti superfici articolari dell’ astragalo sono posizionate sulla superficie inferiore del corpo astragalico con un profilo a superficie concava. La funzionalità dell’ articolazione sottoastragalica è generalmente ritenuta essere quella del movimento di rotazione intorno ad un asse che agisce come un cardine disposto obliquamente. L’ orientamento dell’ asse articolare sottoastragalico, mostra una misura di deviazione mediale di 23° dal riferimento longitudinale del piede, se osservato dall’ alto, l’ asse di rifermento passa dal centro del calcagno ad un punto localizzato tra le teste del secondo e terzo metatarsale. Il suo range può variare tra 4° e 47°. La proiezione laterale mostra una deviazione media verso l’ alto dal piano trasversale di 41°, avendo un range compreso tra 20,5 e 68,5. L’ asse passa attraverso l’ astragalo ed entra nel calcagno appena anteriormente alla faccetta posteriore calcaneare, la quale è responsabile della maggior parte della mobilità sottoastragalica. (fig. 1-2 pag.II).
Le diverse ampiezze dell’ articolarità, per l’ orientamento dell’ asse, dimostrano i differenti allineamenti che sono possibili nella specie umana. Queste variazione possono alterare la meccanica della fisiologica funzione dell’ articolazione sottoastragalica: sia come movimento effettivamente prodotto, sia di trasmissione della rotazione dell’ arto inferiore nel piano trasversale, in direzione del piede. Un metodo clinico per stabilire l’ asse dell’ articolazione sottoastragalica proposto da K. Kirby consiste nel posizionare il paziente supino, seduti al capo del lettino applicare quindi una forza diretta dorsalmente lungo la parte plantare del piede. Se in risposta alla forza applicata non si verifica alcuna rotazione (non viene creato alcun movimento di torsione) si può presumere che non è presente alcun braccio di leva e che quindi l’ asse è in linea con la forza applicata. Localizzando una serie di questi punti, l’ asse può essere disegnato ed individuato sulla superficie plantare del piede. Il range di motilità (ROM) angolare per l’ articolazione sottoastragalica può variare tra 20° e 65° e mediamente si aggira intorno a 40°. La funzionalità dell’ articolazione comprende il movimento del calcagno nel piano frontale, pertanto la motilità della stessa può essere valutata dal grado di inversione ed eversione calcaneare. Valori normali del ROM, per il movimento del calcagno, sono: 20° di inversione durante la supinazione e 10° di eversione con la pronazione; stabilendosi così un rapporto di 2:1. Tuttavia il movimento del calcagno non si svolge esclusivamente nel piano frontale. Questo potrebbe verificarsi solo se l’ asse dell’ articolazione sottoastragalica fosse perpendicolare al piano frontale. Il movimento effettivo è la rotazione del calcagno intorno all’ asse sottoastragalico, che è spostato di 23° rispetto a quest’ asse perpendicolare. Tuttavia, il piano d’ escursione frontale rispecchia funzionalmente la motilità dell’ articolazione sottoastragalica e può variare molto da individuo ad individuo. L’ asse di rotazione dell’ articolazione sottoastragalica è orientato idealmente per assorbire gli stress rotazionali imposti dalla gamba al piede. L’ articolazione sottoastragalica non presenta muscoli che originano e si inseriscono nelle relative ossa ed i movimenti volontari del retropiede sono determinanti da muscoli e tendini che scavalcano le articolazioni tibioastragalica, astragalocalcanare, e di Chopard ed agiscono indirettamente sul movimento sottoastragalico. Molti studi suggeriscono che l’ articolazione sottoastragalica agisce come un cardine che trasferisce la rotazione sul piano traverso della gamba in prono-supinazione del piede. Molti ricercatori hanno constato che non avvengono movimenti dell’ articolazione sottoastragalica senza carichi esterni in grado di modificarne il forte equilibrio dovuto all’ alta congruità delle faccette articolari ed alla forte resistenza dei legamenti. Ogni deviazione da questo equilibrio richiede un allungamento dei legamenti e un allontanamento delle faccette articolari e quindi l’ applicazione di forze esterne.
Il movimento dell’ articolazione sottoastragalica può essere assimilabile sia a quello di una vite che a quello di un cardine. La motilità è abbastanza variabile e dipende da vari fattori quali: l’ angolo dell’ elica ed il profilo delle superfici articolari posteriori, ma anche dalle forze intrinseche indotte dalle strutture legamentose e capsulari periarticolari.
Un asse sottoastragalico con una inclinazione più ripida nel piano trasversale, cioè più vicino all’ orientamento all’ asse Z, esiterà in una maggiore motilità di abduzione-adduzione del piede intorno all’ asse sottoastragalico stesso. Il movimento triplanare di prono-supinazione, in questo quadro di piede cavo ad alto profilo dovrà comprendere una sua più ampia componente nel piano trasversale. Allo stesso modo, un asse sottoastragalico inclinato verso il basso, più vicino all’ asse Y, consentirà un maggior movimento eversione ed eversione. La prono-supinazione in questo piede, piatto a basso profilo, comprenderà una componente più ampia di movimento nel piano frontale. Un asse con un’ accentuata deviazione mediale rispetto al piano sagittale, cioè più vicino all’ asse X, provocherà una più ampia flessione dorsale e plantare; pertanto si avrà una maggiore componente di movimento nel piano sagittale comprendente pronazione e supinazione. Il movimento del piede attorno all’ asse della sottoastragalica è associato con la rotazione interna ed esterna di tutto l’ arto inferiore. La funzione primaria dell’ articolazione sottoastragalica è di trasmettere questa rotazione della gamba nel piano trasversale al piede. Allo stesso modo, l’ allineamento della sottoastragalica determinerà la correlazione tra la rotazione dell’ arto inferiore e la prono-supinazione del piede. Poiché l’ articolazione sottoastragalica funziona come un piccolo e compatto cardine obliquo, un orientamento di 45° dal piano trasversale esiterà in una rotazione uguale per ciascun segmento. Ciò equivale a dire che, per 1° di rotazione dell’ arto inferiore, è presente 1° di rotazione calcaneare. Il piede “normale” si avvicina molto a questa condizione, con un orientamento medio di 41°. Un asse della sottoastragalica con un’ inclinazione inferiore al normale, per esempio di 30°, provocherà una deviazione dal rapporto di 1:1 e questo piede a basso profilo, evidenzierà una rotazione del piede maggiore di 1° per ogni grado di rotazione dell’ arto inferiore. In questi individui potrà essere osservata una più ampia escursione in eversione calcaneare, che si accompagna all’ intrarotazione dell’ arto inferiore. Una conseguenza della pronazione del piede è l’ accorciamento funzionale dell’ arto inferiore secondario alla flessione plantare dell’ astragalo sul calcagno. Un’ azione ulteriore svolta dall’ articolazione sottoastragalica è quella di assorbimento del carico durante la parte iniziale del passo.
ARTICOLAZIONE MEDIOTARSICA
Questa articolazione è costituita medialmente dell’ articolazione tra astragalo e scafoide tarsale, lateralmente da quella tra calcagno e cuboide. La posizione relativa dell’ astragaloscafoidea rispetto all’ articolazione calcaneocuboidea è variabile, dipendendo dalla posizione e dal grado di motilità a livello della sottoastragalica. L’ articolazione scafocuboidea contribuisce poco alla mobilità della mediotarsica. Entrambe le articolazioni, astragaloscafoidea e calcaneocuboidea, presentano ciascuna due assi di movimento a livello delle loro rispettive superfici articolari, tuttavia funzionalmente l’ articolazione mediotarsica può essere considerata come caratterizzata da due assi articolari: il longitudinale e l’ obliquo entrambi decorrono medialmente nel piede vicino alla testa dell’ astragalo. L’ orientamento medio dell’ asse articolare obliquo mostra una posizione di inclinazione verso l’ alto di 52° rispetto al piano trasversale, e di 64° medialmente rispetto al riferimento longitudinale del piede. L’ asse longitudinale ha un orientamento medio di 15° verso l’ alto, rispetto al piano trasversale, e di 16° mediamente, rispetto al rifermento longitudinale del piede. (fig 1-3 pag. III).
Poiché nessuno dei due assi segue il decorso, od è parallelo, all’ asse principale di riferimento, il movimento si verifica su tutti e tre i piani dello spazio e può pertanto essere definito triplanare. Tuttavia, ciascun asse consente uno o due movimenti primari. Quelli che si verificano intorno all’ asse longitudinale comprendono l’ inversione e l’ eversione del mesopiede e del complesso dell’ avampiede. Una correlazione inversa è presente a livello dell’ asse obliquo mediotarsale, dove è possibile avere un’ ampia escursione sia della flessione dorso-plantare che della ab-adduzione con un uguale ampiezza di inversione-eversione clinicamente insignificante. La funzione primaria dell’ asse longitudinale mediotarsale è di raggiungere il contatto mediale dell’ avampiede con il suolo durante la marcia. Si ritiene che l’ allineamento dall’ avampiede al retropiede in posizione di massima eversione, sia determinato dalla rimanente torsione del collo astragalico. Durante la deambulazione, gli assi dell’ articolazione sottoastragalica e mediotarsica sono strettamente correlati. Il grado estremo dell’ escursione articolare totale a livello dell’ articolazione mediotarsica dipende dalla posizione di quella sottoastragalica. Vi sono due assi di motilità, a livello dell’ articolazione astragaloscafoidea, ed altri due in corrispondenza di quella calcaneocuboidea, è il loro orientamento che varia con la posizione della sottoastragalica e determina l’ ampiezza della motilità della mediotarsica. Più precisamente, il fattore principale è dato dall’ allineamento degli assi obliqui, quando l’ articolazione sottoastragalica è pronata, gli assi obliqui delle articolazioni astragaloscafoidea e calcagnocuboidea diventano paralleli tra loro consentendo la flessibilità al mesopiede. Per contro l’ effetto della supinazione sottoastragalica modifica questa configurazione in modo tale che gli assi obliqui dell’ astragaloscafoidea e calcagnocuboidea diventano divergenti determinando una limitazione del movimento della mediotarsica ed un intrinseca rigidità del mesopiede. Avremo pertanto un piede flessibile nella fase iniziale del passo, ed una struttura rigida nella successiva parte fino alla propulsione.
ARTICOLAZIONI METATARSALI E METATARSOFALENGEE
Le cinque ossa metarsali hanno in comune molteplici caratteristiche, ciascuna di esse prossimalmente ha una configurazione cuneiforme alla base, per consentirne l’ articolazione con le ossa tarsali. Ciascuno dei primi tre metatarsali si articola con un osso cuneiforme; il primo con quello più mediale, il secondo con l’ intermedio ed il terzo con il più laterale. Insieme, il metatarsale ed il corrispondente cuneiforme, formano un raggio. I metatarsali quarto e quinto si articolano con il cuboide. Ciascun metatarsale si articola anche con quelli adiacenti; con l’ eccezione del secondo che solo occasionalmente si articola con il primo medialmente. Distalmente ciascun metatarsale presenta una superficie articolare convessa che prende rapporto con la corrispondente faccetta concava alla base della falange prossimale. Il primo metatarsale si distingue per due aspetti caratteristici, innanzi tutto, presenta due faccette articolari scanalate sulla superficie plantare della testa metatarsale, in cui scorrono le due piccole ossa sesamoidi ed inoltre è spesso più corto del secondo metatarsale, ma la presenza delle ossa sesamoidi gli permettono di avere una lunghezza funzionale pressoché equivalente sollevando e sostenendone la testa. I metatarsali presentano generalmente uno specifico orientamento rispetto a loro stessi ed al retropiede e si valuta misurando l’ asse longitudinale del retropiede e quello del secondo metatarsale. I valori riportati per la normale postura dell’ avampiede sono compresi tra 14° e 16° di adduzione, gli angoli inferiore ai 14° sono considerati rappresentativi di un piede pronato. Per l’ angolo intermetatarsale risultante tra primo e secondo la bibliografia riporta come valore normale un range compreso tra 5° e 9°; tra il primo e il quinto un range che va da 23° a 29°. Questi angoli hanno significato clinico quando vengono considerate le posture patologiche dell’ avampiede. Un primo metatarso varo può essere presente non solo quando l’ angolo tra i metatarsali primo e secondo supera di 9-10° il limite superiore considerato normale, ma anche quando l’ angolo intermetatarsale 1-5 è più ampio del normale, perfino in presenza di un angolo 1-2 rientrante nel range normale. Si ritiene che l’ orientamento dell’ alluce e abbia una normale postura in valgo compresa tra 9° e 17° a livello della prima articolazione MTF, con un associato valgismo tra 11° e 19° a livello di quella interfalangea. Il primo raggio presenta un’ asse di motilità con una deviazione laterale di circa 45° rispetto al riferimento longitudinale del piede, con solo una leggera deviazione verso l’ alto rispetto al piano trasversale. L’ asse del quinto raggio presenta una deviazione mediale di circa 35° dal riferimento longitudinale del piede. In tutto ciò è simile all’ allineamento dell’ asse della sottoastragalica ed a quello obliquo della mediotarsica, ma diverso dall’ asse del primo raggio. Anche l’ asse del quinto raggio presenta un orientamento di 20° verso l’ alto rispetto al piano trasversale. Le corrispondenti deviazioni laterale e mediale degli assi, rispettivamente del primo e del quinto raggio, esitano in un orientamento pressoché perpendicolare tra questi ultimi. L’ asse del terzo raggio mostra un allineamento trasversale che decorre in prossimità dell’ osso cuneiforme laterale e si posiziona quasi perpendicolarmente all’ asse di riferimento longitudinale del piede. Il movimento risultante che si svolge intorno all’ asse del terzo raggio è essenzialmente uniplanare, a causa del suo allineamento quasi coincidente con l’ asse X del sistema di riferimento del piede. I movimenti rotazionali che si verificano sono quelli di flessione plantare e dorsale. I movimenti che avvengono a livello degli assi del primo e quinto raggio sono triplanari. La rotazione intorno all’ asse del primo raggio è costituita da una combinazione di flessione dorsale, inversione ed adduzione; viceversa, la rotazione dal lato contrario è una combinazione di flessione plantare, eversione ed abduzione. Funzionalmente parlando, il mantenimento della stabilità del primo raggio in direzione plantare è un fattore critico. La perdita di questa stabilizzazione può esitare in una ipermobilità del primo raggio e portare a sviluppare deformità dell’ alluce; in particolare quella dell’ alluce valgo e di quello rigido. La stabilità del primo raggio è raggiunta primariamente attraverso l’ azione del muscolo peroniero lungo. Esiste un’ importante correlazione biomeccanica tra la posizione relativa del tendine peroneale, nel suo solco a livello del cuboide e la sua inserzione sulla base del primo metatarsale e sul cuneiforme mediale. Quando la sottoastragalica è in posizione neutra, la base del primo metatarsale è più alta dal suolo rispetto al tendine peroneale a livello del cuboide. Quando la forza generata dal peroniero lungo viene scomposta nelle componenti vettoriali, si evidenziano una componente più grande diretta lateralmente ed una più piccola con direzione plantare. Con questo particolare allineamento osseo, una forza stabilizzante in flessione plantare agisce sul primo raggio. Quando il piede assume la postura in supinazione, l’ astragalo si riflette dorsalmente sul calcagno; provocando un posizionamento più elevato della testa astragalica, relativamente al calcagno, rispetto a quando la sottoastragalica è in neutra. Pertanto viene elevato l’ intero arco longitudinale mediale, la testa astragalica e lo scafoide, il cuneiforme mediale ed il primo metatarsale. Tutto ciò serve a creare una componente di forza anche maggiore del peroniero lungo diretta plantarmente, incrementando in tal modo la sua capacità di stabilizzazione verso il basso. Questo è in contrasto con gli eventi associati alla pronazione della sottoastragalica. Con l’ avanzare e l’ accentuarsi della pronazione, l’ arco mediale si abbassa, consentendo alla testa astragalica ed al calcagno di adagiarsi pressoché sullo stesso piano orizzontale. Questo riposizionamento elimina la componente plantare della forza muscolare con la componente diretta lateralmente che diventa così quasi equivalente alla forza totale generata dal peroniero lungo. L’ effetto finale sul primo raggio è un più forte spostamento laterale della sua base, ma anche, più significativamente, una perdita della stabilità verso il basso in risposta alle forze di reazione del terreno dirette dorsalmente. Ciò rende la prima articolazione MTF ipermobile quando il piede assume una posizione completamente pronata e, in presenza di una postura in eversione del retropiede durante la pronazione, può portare ad un riposizionamento in flessione dorsale del primo raggio. Questa ipermobilità del primo raggio è uno dei fattori meccanici da evidenziare nello sviluppo sia dell’ alluce valgo che di quello rigido.
Le arcolazioni MTF sono costituite dai rapporti articolari tra le teste distali dei cinque metatarsali con le corrispondenti basi delle falangi prossimali; sono classificate di tipo condiloideo, essendo composte dalla superficie metatarsale convessa e dalla conformazione concava delle falangi livello di tutte e cinque le articolazioni. A livello della prima MTF il ROM normale misura 30° in flessione e 90° in estensione; le altre articolazioni minori sono simili con 90° di estensione ed una flessione leggermente più ampia, di circa 45°-50°. Vi è una correlazione anatomica con importanti implicazioni biomeccaniche riguardo la lunghezza dei metatarsali. Il secondo metatarsale è generalmente il più lungo, seguito in lunghezza dal primo, dal terzo, dal quarto ed il quinto; il risultato di queste differenze è la presenza di due diversi assi funzionali, per l’ estensione delle MTF, entrambi passanti per il secondo metatarsale. Il primo asse, quello obliquo alle MTF, decorre dalla seconda alla quinta articolazione MTF ed è definito intervallo metatarsale con una deviazione media di 62° dall’ asse longitudinale del piede. Il secondo asse, quello trasversale alle MTF, passa attraverso la prima e seconda MTF e presenta un allineamento molto più perpendicolare al riferimento longitudinale del piede. Il significato della presenza di due assi funzionali è dato dal fatto che da ciascuno origina un diverso braccio di leva, attraverso cui sia i muscoli che le forze di reazione del terreno d’ appoggio possono agire durante la fase propulsiva della deambulazione. Durante il ciclo del passo, l’ estensione a livello delle articolazioni MTF inizia quando il calcagno si stacca dal suolo, il che accade quando la tibia raggiunge un’ inclinazione anteriore compresa tra 10° e 25° approssivamente al 45% del ciclo del passo. Inizialmente, questa rotazione del calcagno mentre si sta sollevando al di sopra delle dita fisse al suolo, si verifica intorno all’ asse d’ intervallo metatarsale. Quindi mentre il calcagno continua a sollevarsi, si verifica uno spostamento verso l’ asse trasversale. Quando si è raggiunta la massima estensione articolare delle MTF, l’ asse si sposta ancora più anteriormente sull’ alluce, originando così un ulteriore lasse funzionale dell’ avampiede e tutto ciò permette di incrementare il braccio di leva.
ANATOMIA MUSCOLARE DEL PIEDE
MUSCOLI INTRINSECI
I muscoli presenti nel piede si distinguono in dorsali e plantari. Questi ultimi occupano le logge mediale, intermedia e laterale della pianta del piede.
La regione dorsale del piede presenta un solo muscolo, l’ estensore breve delle dita, esso è innervato dal nervo peroniero profondo, e contraendosi estende le prime quattro dita. La regione mediale della pianta del piede presenta tre muscoli, l’ abduttore dell’ alluce, il flessore breve dell’ alluce e l’ adduttore dell’ alluce. L’ abduttore dell’ alluce è innervato dal nervo plantare mediale e abduce e flette l’ alluce. Il muscolo flessore breve dell’ alluce è innervato dai nervi plantare mediale e laterale, e contraendosi flette l’ alluce. Il muscolo adduttore dell’ alluce è il più profondo dei tre, origina con un capo obliquo e con un capo traverso, ed è innervato dal nervo plantare laterale e contraendosi flette ed adduce l’ alluce. Nella loggia plantare ci sono tre muscoli, l’ abduttore del quinto dito che flette ed abduce il relativo dito; il muscolo flessore breve del quinto dito che flette, ed il muscolo opponente del quinto dito che lo flette ed adduce. La loggia plantare intermedia, ospita undici muscoli, il flessore breve delle dita flette la seconda falange delle ultime quattro dita; il muscolo quadrato della pianta coopera con il muscolo flessore lungo; i muscoli lombricali sono quattro, flettono la prima falange ed estendono la seconda e la terza falange delle ultime quattro dita; i muscoli interossei sono sette muscoli distinti in, tre plantari e quattro dorsali ed occupano gli spazi intermetatarsali. I muscoli interossei plantari con la loro azione flettono la prima falange ed estendono le restanti due falangi del terzo, quarto e quinto dito, inoltre, portano medialmente queste stesse dita. I quattro interossei dorsali occupano la parte dorsale dei quattro spazi metatarsali. Contraendosi, flettono la prima falange ed estendono le atre due falangi del secondo, terzo e quarto, inoltre allontanano il terzo e quarto dito dal secondo.
MUSCOLI ESTRINSECI
I muscoli che intervengono nella motilità del piede, comprendono anche i muscoli della gamba, che si inseriscono sullo scheletro del piede. I muscoli della gamba si dividono in tre gruppi, loggia anteriore, laterale e posteriore. I muscoli anteriori della gamba sono, il tibiale anteriore, l’ estensore lungo dell’ alluce, l’ estensore lungo delle dita ed il peroniero anteriore. Il muscolo tibiale anteriore flette dorsalmente, adduce e ruota medialmente il piede. Il muscolo estensore lungo delle dita estende le ultime quattro dita, interviene nei movimenti di flessione dorsale, abduzione e rotazione esterna del piede. Il muscolo estensore lungo dell’ alluce estende e partecipa ai movimenti di flessione dorsale, adduzione e rotazione interna del piede. Il muscolo peroniero anteriore contribuisce con i due muscoli estensori alla flessione dorsale, abduzione e rotazione esterna del piede. I muscoli laterali della gamba sono, il muscolo peroniero lungo che abduce, ruota all’ esterno il piede e lo flette, ed il muscolo peroniero breve che abduce e ruota all’ esterno il piede. I muscoli posteriori della gamba sono disposti in un piano superficiale, che comprende il tricipite della sura ed il plantare, ed in uno profondo nel quale si trovano il popliteo, il flessore lungo delle dita, il flessore lungo dell’ alluce ed il tibiale posteriore. Il muscolo tricipite della sura è formato dal gastrocnemio e dal soleo, che convergono nel tendine d’ Achille, che flette plantarmente il piede e lo ruota all’ interno, contribuendo anche alla flessione della gamba. Il muscolo plantare ha un’ azione simile a quello della sura. Il flessore lungo delle dita flette le ultime quattro dita, e concorre alla flessione plantare del piede. Il flessore lungo dell’ alluce flette l’ alluce e concorre alla flessione plantare del piede. Il muscolo tibiale posteriore agisce flettendo plantarmente il piede ed è il più potente supinatore del piede e partecipa ai movimenti di adduzione, rotazione interna ed è il più sollecitato nelle sindromi pronatorie.
IL CAMMINO
Il cammino è una sequenza ripetitiva di movimenti dei segmenti corporei, avviene in sicurezza e con il minimo dispendio di energia. Il ciclo del cammino viene definito come un insieme di movimenti compresi fra due successivi contatti con il suolo dello stesso piede, per convezione si considera dal contatto del tallone destro al contatto successivo dello stesso. All’ interno della fase d’ appoggio, a seconda della posizione del piede controlaterale, avremo una fase di doppio appoggio iniziale, questa è una posizione di grande equilibrio; dopodiché l’ altro piede si stacca e si è in appoggio monopodalico e quindi di minimo equilibrio per la base d’ appoggio ristretta.
La lunghezza del passo o stride, corrisponde alla distanza tra le due fasi d’ appoggio dello stesso piede e normalmente è l’ 85-90% dell’ altezza del paziente.
La lunghezza del passo o step, corrisponde alla distanza tra l’ appoggio del piede destro e quello sinistro.
L’ angolo del passo corrisponde all’ apertura anteriore dell’ asse longitudinale del piede con l’ asse di progressione del corpo, questo angolo nel valore medio corrisponde a circa 5°.
Nella valutazione dello stride dobbiamo considerare due periodi, il periodo d’ appoggio e quello di oscillazione, che insieme devono perseguire degli obiettivi ben precisi, cioè, l’ accettazione del carico, l’ appoggio monopodalico e l’ avanzamento dell’ arto.
Questi obiettivi si realizzano durante otto fasi del cammino: cinque d’ appoggio e tre di oscillazione.
Le fasi di appoggio sono:
contatto iniziale
risposta al carico
appoggio intermedio
appoggio terminale
preoscillazione
Le fasi di oscillazione sono:
oscillazione iniziale
oscillazione intermedia
oscillazione terminale
La fase d’ appoggio rappresenta il 60%, e l’ oscillazione il 40% dello step.
CAPITOLO 2
LE SINDROMI PRONATORIE
La sindrome pronatoria del piede è definita come un eccessivo movimento dell’ estremità inferiore con fulcro livello dell’ articolazione sottoastragalica. La pronazione del piede è anormale se è eccessiva durante qualsiasi fase della deambulazione o se avviene quando il piede dovrebbe essere supinato e più frequentemente si manifesta per compensare anomalie ossee o funzionali dell’ estremità inferiore. La pronazione della sottoastragalica, da atteggiamento compensatorio facilmente correggibile, tende a divenire nel tempo una vera deformità, che si accompagna ad una aumento delle reazioni del terreno sulla porzione mediale dell’ avampiede ed in particolare sul primo raggio in direzione dorsiflessoria con una sollecitazione in supinazione sull’ asse longitudinale della mediotarsica. Talvolta la pronazione eccessiva si può estendere anche all’ articolazione tibio-tarsica con coinvolgimento saprasegmentario, determinando un movimento di intrarotazione tibiale e femorale ed è più grave quando persiste durante il periodo propulsivo e quanto più brusco e maggiore è il movimento pronatorio. Tutto ciò può essere causa di gravi compromissioni a carico delle articolazioni e delle parti molli perischeletriche, con deformità a carico dell’ avampiede.
CLASSIFICAZIONE ED EZIOLOGIA
Le sindromi pronatorie solitamente sono la conseguenza della interazione di molteplici fattori che possiamo individuare in quattro gruppi:
1) da compensazione
2) da carichi prematuri mediali
3) da scompensi muscolari di origine neurologica
4) da contratture muscolari di origine algica articolare o periarticolare
Le sindromi pronatorie da compensazione le possiamo classificare in:
a) intrinseche al piede
b) estrinseche al piede
Le deformità comuni dell’ arto inferiore, ed in particolare del piede, producono alterazioni strutturali e funzionali omolaterali che si manifestano più frequentemente su un solo piano. L’ articolazione sottoastragalica, in virtù del suo asse di movimento triplanare, può muoversi su uno qualsiasi dei tre piani cardinali del corpo, perciò è proprio quest’ articolazione che più frequentemente si pone in modo da compensare la posizione alterata del piede su di un piano. Quando l’ articolazione sottoastragalica prona per compensare qualche alterazione, la pronazione compensatoria si aggiunge a quella necessaria per la normale deambulazione, ed avviene più frequentemente quando il piede normalmente dovrebbe essere supinato. La pronazione necessaria a compensare la deformità è costante durante il cammino ed il movimento di compenso avviene su un solo piano. L’ articolazione sottoastragalica rende possibile il movimento sul quel piano, ma non senza muoversi simultaneamente negli altri due. Perciò, il movimento nel piano che compensa l’ alterazione è vantaggioso, mentre il movimento che avviene in concomitanza con esso negli altri due piani è dannoso. La compensazione in pronazione può essere eccessiva rispetto al grado di pronazione normale, inoltre può avvenire in un momento sbagliato e cioè quando il piede dovrebbe essere supinato ed infine può essere presente sia nel cammino che in posizione statica.
Alterazioni intrinseche al piede: le più frequenti che causano un’ alterata pronazione sono: l’ avampiede varo, il retropiede varo, l’ avampiede valgo, l’ equinismo della tibiotarsica e i traumi.
L’ avampiede varo è una deformità congenita ossea per cui la superficie plantare dell’ avampiede risulta in inversione rispetto a quella del retropiede, quando l’ articolazione sottoastragalica sia in posizione neutra e la mediotarsica sia a fondo corsa pronatoria rispetto ad entrambi i suoi assi di rotazione obliquo e longitudinale. Questa deformità causa una sollecitazione pronatoria della sottoastragalica che si mantiene anche durante il periodo propulsivo. L’ avampiede inverte quando il soggetto sta in piedi con il retropiede in posizione neutra, quindi al deformità avampodalica viene compensata dall’ eversione del retropiede che permette all’ avampiede di evertire finché la sua parte mediale non prende contatto con il suolo. Tutto ciò è determinato dalla forza di reazione del suolo contro la parte laterale della faccia plantare dell’ avampiede che causa la pronazione della sottoastragalica.
Il retropiede varo è una deformità caratterizzata dalla inversione, in stazione eretta, dell’ asse calcaneare, quando la sottoastragalica è in posizione neutra, ciò determina una accentuazione della pronazione nel periodo di contatto ed una persistenza nella mid-stance della fase di appoggio.
L’ avampiede valgo è una deformità strutturale per cui la superficie plantare dell’ avampiede, ad articolazione sottoastragalica in posizione neutra e a fondo corsa pronatoria della mediotarsica, è in valgo rispetto alla superficie d’ appoggio del retropiede, cioè alla perpendicolare all’ asse calcaneare. In un avampiede valgo non rigido, durante la fase d’ appoggio, l’ avampiede non è bloccato sul retropiede a fine corsa pronatoria. Questo causa un appoggio instabile ed una pronazione anomala nella fase propulsiva del passo.
L’ equinismo della tibiotarsica è presente se la dorsiflessione della tibiotarsica a ginocchio esteso, valutata mantenendo la sottoastragalica in posizione neutra, è inferiore a 10°, e può essere causata da alterazioni ostearticolari della tibiotarsica, brevità e retrazione del tricipite surale, e da deformità che comportino plantarflessione dell’ avampiede sul retropiede. Qualsiasi sia la causa dell’ equinismo, l’ impossibilità di inclinare la tibia in avanti sul piede durante la fase d’ appoggio, nel momento che precede lo stacco del tallone dal suolo, provoca frequentemente la compensazione attraverso una pronazione spesso grave della sottoastragalica.
Alterazioni estrinseche al piede: le più frequenti che causano un’ alterata pronazione sono:
tibia e ginocchio varo,
torsione tibiale e femorale interna,
accorciamento del muscolo gastrocnemio,
dismetria degli arti.
La tibia e il ginocchio varo hanno biomeccanicamente gli stessi effetti del retropiede varo.
La torsione interna tibiale e femorale determina un angolo del passo negativo con una tendenza ad inciampare nei propri piedi. Quindi la pronazione della sottoastragalica in queste condizioni consente, abducendo l’ avampiede, di ridurre la tendenza ad inciampare. La pronazione compensatoria è anomala, poiché eccede l’ escursione necessaria per la normale deambulazione ed inoltre il piede funziona costantemente in una posizione pronata.
La dismetria degli arti può essere compensata da una eccessiva pronazione della sottoastragalica. L’ eccessiva pronazione permette all’ arto più lungo di accorciarsi, cercando così di uniformasi all’ arto controlaterale.
L’ accorciamento del muscolo gastrocnemio determina un’ alterazione della funzionalità del piede, impedendo una normale dorsiflessione della tibiotarsica a ginocchio esteso. L’ impossibilità ad inclinare in avanti la tibia sul piede nella seconda parte della fase del passo provoca la pronazione eccessiva della sottoastragalica.
Le sindromi pronatorie determinate da carichi mediali eccessivi o prematuri
Sono causate da anomalie che pongono il piede in una posizione tale che le forze esercitate sul piede stesso durante il periodo d’ appoggio sono localizzate medialmente, prima che i muscoli della fase d’ appoggio abbiano il tempo di contrarsi e stabilizzare le articolazioni mediali. Durante la normale fase del passo, le forze esercitate sul piede sono dirette verso la parte alterale del piede all’ inizio dell’ appoggio. Nella fase intermedia dell’ appoggio, quando si stabilizzano l’ articolazione mediotarsica e quelle dell’ arco mediale, il carico viene spostato medialmente, in preparazione alla fase di propulsione. Quindi la prematura distribuzione mediale del carico porterà ad un’ eccessiva pronazione della sottoastragalica.
Le cause più frequenti a determinare queste alterazioni sono:
torsione femorale e tibiale esterna,
retropiede e tibia valgo,
verticalità dell’ asse obliquo della mediotarsica,
eccessiva deviazione mediale dell’ asse della sottoastragalica,
obesità.
La torsione esterna tibiale e femorale comportano una rotazione esterna della tibiotarsica e del piede eccessiva sul piano frontale. Quindi la progressione lineare del corpo, a piede abdotto, determina una forza sulla porzione mediale del calcagno e dell’ arco del piede. Il peso esercitato sul piede dal lato mediale del calcagno produce una forza d’ eversione sull’ articolazione sottoastragalica che ne causa un’ eccessiva e prolungata pronazione.
La deformità in valgo di tibia e retropiede determinano un’ alterazione degli assi di carico, aumentando le forze mediali. Nella fase di contatto al suolo del tallone, questo invece di appoggiare in supinazione e pio pronare, appoggia in pronazione diminuendo così la capacità di dissipazione dell’ impatto del piede. Queste deformità causano un’ eccessiva e prolungata pronazione.
La verticalità dell’ asse obliquo della mediotarsica determina un aumento di escursione della stessa articolazione in ab-adduzione e prono-supinazione, ed una diminuzione in flessione dorso-plantare. Quando questi pazienti sono in piedi, si nota che il retropiede è addotto, così come l’ articolazione tibiotarsica si sposta medialmente. In statica l’ avampiede è fisso al suolo e non può abdurre quando l’ articolazione mediotarsica prona; perciò il movimento sul piano trasversale, associato al movimento dell’ articolazione mediotarsica, avviene nel retropiede con adduzione del calcagno e dislocazione mediale dell’ asse meccanico della gamba. Il carico applicato dalla gamba sulla porzione mediale del calcagno genera un braccio di leva che induce la pronazione eccessiva della sottoastragalica.
L’ eccessiva deviazione mediale dell’ asse della sottoastragalica comporta una rotazione interna e una traslazione mediale dell’ astragalo che esita in un aumentato momento pronatorio dell’ articolazione sottoastragalica. L’ anomala pronazione sarà presente durante tutto il ciclo del passo ed in stazione eretta.
L’ obesità, può causare un’ eccessiva pronazione per il sovraccarico delle strutture articolari del piede che collassano.
Sindromi pronatorie da scompensi muscolari di origine neurologica
La patologia neurologica può determinare uno scompenso muscolare in due modi: può produrre una paralisi muscolare flaccida oppure una ipertonia muscolare. Nella paralisi muscolare flaccida, i muscoli antagonisti sani si accorciano esercitando così una trazione verso una posizione anomala che fisseranno. Quando i muscoli diventano ipertonici, quelli con un tono maggiore saranno più potenti dei muscoli antagonisti che non sono ipertonici, di conseguenza, il segmento osseo controllato dai muscoli coinvolti viene ad essere in una posizione alterata. Quando tutti i muscoli che controllano un segmento corporeo diventano flaccidi o ipertonici nella stessa maniera non si manifesta scompenso muscolare, ad esempio una lesione spinale a livello di L5-S1 può generare una paralisi flaccida che interessa l’ innervazione del piede. Questa comporta lo sviluppo di un piede ciondolante nella fase di swing del passo e di un’ eccessiva pronazione nella fase di appoggio per la mancanza di tono al muscolo tibiale posteriore. Se la paralisi flaccida interessa i muscoli supinatori ci sarà una prevalenza dei muscoli pronatori, che comporterà una deformità statica, e una deambulazione in completa pronazione.
Se la patologia è la spasticità di un muscolo prosatore come il peroneo breve, e supera l’ azione del tibiale posteriore, si avrà un’ eccessiva pronazione della sottoastragalica.
Sindromi pronatorie da contratture muscolari di origine algica articolare o periarticolare
I traumi e le malattie infiammatorie stimolano i recettori dolorifici, localizzati nei tessuti molli articolari e periarticolari, e frequentemente producono una spasmo tonico. Un riflesso di contrazione muscolare continua che immobilizza l’ articolazione è un meccanismo naturale di difesa volto prevenire il momento che potrebbe determinare dolore o un ulteriore danno all’ articolazione. Un’ articolazione può essere immobilizzata in qualsiasi posizione dalla contrattura dei muscoli responsabili del relativo movimento. La contrattura riduce di solito il range di movimento in una sola direzione, se la supinazione della sottoastragalica causa dolore, solo i muscoli pronatori sono contratti, e ciò provoca una pronazione anomala nella deambulazione ed in statica.
EVOLUZIONE
L’ effetto della pronazione anomala durante la deambulazione dipende da alcuni fattori, come il momento nel quale avviene la pronazione anomala, il grado di pronazione, la presenza o l’ assenza di pronazione della sottoastragalica in propulsione, e se l’ articolazione sottoastragalica è attivamente pronta o spinata durante la propulsione. Queste alterazione influenzeranno in maniera diversa l’ evoluzione clinica della patologia. Tanto maggiore è la pronazione del piede in fase propulsiva e tanto più sarà traumatizzato il piede, questo perché quando il piede è eccessivamente pronato a livello della sottoastragalica durante la fase propulsiva, i meccanismi di immobilizzazione ossea all’ interno del tarso diventano meno efficienti. Il tarso diventa instabile ed i muscoli della fase d’ appoggio incapaci di stabilizzare efficacemente le articolazione più distali. Nessun segmento osseo può essere stabilizzato a livello dell’ articolazione se le ossa prossimali ad esso sono instabili. Quando si solleva il calcagno, le forze applicate all’ avampiede determinano tra i segmenti ossei che lo compongono un movimento anomalo compromettendo la stabilità articolare. L’ ipermobilità che ne consegue porta ad una graduale sublussazione delle articolazioni, con la comparsa di deformità come l’ alluce valgo, l’ alluce rigido, le dita a martello; infiammazione dei tessuti legamentosi e capsulari a livello delle articolazioni metatarsofalangee. L’ ipermobilità può provocare la comparsa di neuroni intermetatarsali. Il trauma dei tessuti sottocutanei determina una fibrosi progressiva attorno al fascio neurovascolare che si trova all’ interno dei tessuti traumatizzati. Il neuroma si sviluppa nel punto di biforcazione del fascio neurovascolare e provoca episodi acuti di dolore irradiato all’ avampiede e da parestesie alle dita. L’ eccessiva eversione calcaneare può determinare la comparsa di dolore nell’ area perimalleolare laterale per l’ impingement tra il calcagno ed il malleolo laterale. La pronazione anomala del piede, causa anche lo stiramento eccessivo della fascia plantare. L’ eccessivo stiramento della fascia plantare può determinarne la calcificazione delle inserzioni e dolore.
Una eccessiva e prolungata pronazione della sottoastragalica durante la fase iniziale di risposta al carico determina un’ aumentata rotazione interna ed inclinazione della tibia e flessione del ginocchio per mantenere la congruenza dell’ articolazione della caviglia. Dal midstance alla fase terminale del passo, l’ estensione del ginocchio è ritardata o ridotta. Uno stress torsionale si viene ad avere quando l’ arto inferiore si estende mentre la tibia rimane inclinata medialmente. L’ articolazione del ginocchio può compensare producendo un incremento di rotazione interna del femore che ridurrà le forze di taglio agenti sul ginocchio, ma che potrà causare un’ alterazione dell’ articolazione patello-femorale e conseguente gonalgia.
VALUTAZIONE CLINICA
ANAMNESI
Con una dettagliata anamnesi si indaga la storia familiare, per risalire ad eventuali patologie familiari, ereditarie, interventi chirurgici, traumi o malattie che possono influire sulla presenza di anomalie di pronazione.
Si interroga il paziente se presenta sintomi:
l’ insorgenza
la sede
la modalità
l’ evoluzione
la frequenza
la durata
ESAME CLINICO DEL PAZIENTE
Dopo aver effettuata l’ anamnesi, si visita il paziente, attraverso una valutazione generale:
si osserva se le calzature hanno un’ usura anomala,
la postura,
il cammino,
si palpa il piede e l’ arto inferiore,
si effettua l’ esame articolare,
si esaminano le lastre radiografiche, TAC o RNM,
si effettua l’ esame baropodometrico in dinamica o la gait analysis.
Il consumo e la deformazione delle scarpe ci possono indicare la presenza di movimenti anomali del piede in pronazione. Il consumo del tacco medialmente ed il cedimento del contrafforte mediale sono indice di questa anomalia.
La postura mostra la posizione che il paziente mantiene normalmente e può indicarci lo stato dell’ assetto corporeo.
Si valuta:
l’ allineamento delle spalle
il triangolo della taglia
la posizione del bacino
se le ginocchia sono allineate correttamente
se le caviglie ed i piedi sono ben allineati
se c’ è qualche alterazione della marcia
La palpazione ci permette di esaminare in dettaglio le strutte del piede e della caviglia.
Nelle sindromi pronatorie le strutture più sottoposte a sollecitazione e che con la palpazione possiamo rilevare sono:
il tendine del muscolo tibiale posteriore dolente
la prima articolazione MTF infiammata, sublussata o rigida
l’ inserzione prossimale della fascia plantare può essere dolorosa per l’ eccessivo stiramento
l’ area perimalleolare laterale può essere dolorosa per la compressione del calcagno col malleolo
l’ area mediale del ginocchio può essere dolorosa per eccessiva rotazione interna della tibia
E’ importante valutare il cammino del paziente per poter diagnosticare le anomalie pronatorie, perché è proprio in dinamica che causano i danni maggiori alle strutture dell’ arto inferiore e del piede. La pronazione normale avviene nella fase iniziale dell’ appoggio del piede per il 15% della stessa, con un valore di eversione del retropiede di circa 4° - 8°, quindi se il tempo di durata è maggiore e se è maggiore l’ eversione del retropiede possiamo diagnosticare un’ anomalia di pronazione.
L’ esame dell’ escursione articolare ci permette di valutare l’ ampiezza del movimento nelle diverse direzioni. L’ ampiezza del movimento va rilevata a partire dalla posizione neutra dell’ articolazione, si utilizza l’ artrogoniometro, su un punto di repere, un braccio va tenuto parallelo alla linea della pianta laterale o mediale del piede oppure alla linea mediana della gamba o del calcagno. L’ altro braccio segue e misura l’ escursione articolare.
L’ articolazione tibiotarsica viene valutata attraverso la flessione dorso-plantare, a ginocchio flesso e a ginocchio esteso, in quanto la retrazione del tricipite surale può limitarne l’ escursione. Il range di movimento normale può variare da 30° a 50° in flessione plantare, e da 20° a 30° in flessione dorsale. Con il paziente in posizione prona, si posiziona la superficie posteriore del calcagno sul piano frontale e con la sottoastragalica in neutra, quindi si esegue la misurazione dell’ escursione articolare.
Sempre mantenendo il paziente in posizione prona con le gambe estese si valuta l’ escursione della sottoastragalica misurando l’ inversione e l’ eversione calcaneare. I valori normali sono 20° - 30° in inversione e 5° - 15° in eversione, sempre in misura di 2/3 in inversione ed 1/3 in eversione.
La prima articolazione MTF è facile valutarla ed il suo range articolare è di 20° - 30° in flessione plantare e 50° - 70° in flessione dorsale.
Il valore medio della pronazione del piede è di 25°, mentre quella della supinazione è di 45°.
L’ esame radiografico serve a misurare gli angoli caratteristici di curvatura e rilevare alterazioni scheletriche come difetti congeniti, malattie degenerative infiammatorie. L’ esame radiografico si avvale, nella metodica standard, di due proiezioni ortogonali, che sono la dorso-plantare e la laterale effettuate sotto carico. Nella proiezione laterale è possibile tracciare due angoli, quello di Costa-Bartani e quello di Meary. Il primo è formato da due rette che originando dal punto più basso dell’ astragalo, uniscono rispettivamente il punto più basso del calcagno ed il punto più basso della testa del primo metatarsale. Tale angolo in un piede normale è di circa 120° mentre nel piede eccessivamente pronato è maggiore. La linea di Meary viene tracciata ad unire astragalo, navicolare e primo metatarsale, nel piede normale deve essere una linea retta, nelle sindromi pronatorie forma un angolo.
La TAC si utilizza per rilevare disordini congeniti, artriti, anche se è raro il suo utilizzo per la diagnosi delle sindromi pronatorie.
La RNM serve per studiare i tessuti molli, quindi alterazioni del tendine del tibiale posteriore, l’integrità dei legamenti mediali o astragalo-calcaneari, ed alterazioni degenerative dei tessuti molli.
Le tecnologie attuali mettono a disposizione anche strumenti informatizzati per rilevare alterazioni del cammino, come le pedane baropodometriche e la gait analysis.
MISURAZIONI CLINICHE ARTICOLARI
POSIZIONE NEUTRA DELLA SOTTOASTRAGALICA
Questa viene utilizzata come punto di riferimento, nel calcolare le altre misurazioni strutturali ed il range di movimento. Il paziente viene posizionato prono, con il piede e la caviglia che devono essere valutati estesi e sporgenti ben oltre il bordo del lettino. L’ anca controlaterale può essere flessa per allineare il piano sagittale della parte distale della gamba perpendicolare al suolo. Il pollice dell’ esaminatore viene utilizzato per palpare la porzione mediale della testa astragalica, che è leggermente inferiore ed anteriore rispetto al malleolo mediale, e prossimale allo scafoide. Il dito indice è utilizzato per palpare il margine laterale della testa astragalica, che è anteriore rispetto al malleolo laterale ed orientato verso l’ asse centrale del piede. Quindi si palpa un solco che si identifica con il seno del tarso; è la localizzazione del margine laterale della testa astragalica durante la supinazione. Afferrando la quarta e la quinta testa metatarsale, con il pollice e l’ indice, si vince la forza di coesione elastica a livello delle articolazioni mediotarsiche; ed il retropiede viene pronato e supinato attraverso un arco di movimento intorno all’ asse dell’ articolazione sottoastragalica. Durante la pronazione e la supinazione, i margini mediale e laterale della testa dell’ astragalo diventano rispettivamente prominenti. Ai fini della valutazione clinica, la posizione neutrale della sottoastragalica viene definita come quella in cui i margini mediale e laterale della testa astragalica divengono palpabili in uguale misura.
Fig. 2-1 pag. IV
FLESSIONE DORSALE E PLANTARE DELLA TIBIO-TARSICA
La letteratura scientifica indica che, durante la fase d’ appoggio della deambulazione, è richiesto un minimo di 10° di flessione dorsale a livello dell’ articolazione tibiotarsica. Anche la flessione dorsale nella pronazione, che si verifica a livello dell’ articolazione sottoastragalica e di quella metatarsale obliqua, contribuisce all’ incremento del ROM funzionale; ma può diventare eccessiva nella caso in cui la flessione dorsale dell’ articolazione tibiotarsica è limitata. Per eliminare il contributo dell’ articolazione sottoastragalica al ROM totale in dorsiflessione e per ottenere una misurazione più accurata del momento a livello tibiotarsica, si esegue la pronazione passivamente. La posizione neutra della sottoastragalica viene raggiunta come descritto precedentemente. Il braccio distale di un artrogoniometro viene allineato parallelamente ad una linea immaginaria che va dalla porzione plantare del calcagno alla superficie plantare della testa del quinto metatarsale. Il braccio prossimale dell’ artrogoniometro è allineato parallelamente alla bisettrice laterale della parte distale della gamba, che generalmente decorre sul malleolo laterale. L’ articolazione tibiotarsica viene dorsiflessa passivamente, fino al punto di resistenza, ed è quindi dorsiflessa attivamente dal paziente mentre l’ esaminatore controlla passivamente qualsiasi movimento di pronazione che si verifica a livello dell’ articolazione sottoastragalica. Se la massima dorsiflessione raggiunta è inferiore a 10°, il ginocchio viene flesso a 90° e la flessione dorsale viene misurata nuovamente. Se il range di flessione dorsale è più ampio a ginocchio flesso che esteso, ciò è dovuto alla diversa leva del gastrocnemio sulle due articolazioni. Se la limitazione della motilità rimane uguale anche a ginocchio flesso, ciò implica un coinvolgimento del soleo e/o delle strutture articolari.
La flessione plantare si misura utilizzando la stessa tecnica e sono richiesti per una deambulazione normale un minimo 20° di flessione plantare.
INVERSIONE ED EVERSIONE CALCANEARE
Clinicamente, la migliore valutazione della motilità dell’ articolazione sottoastragalica è dedotta dall’ inversione ed eversione calcaneare e queste misurazioni vengono eseguite nel piano frontale, approssivamente un terzo del movimento avviene in eversione calcaneare, rappresentando quest’ ultimo la pronazione; mentre i restanti due terzi in inversione, rappresentano la valutazione della supinazione. Il punto di repere di riferimento, per la misurazione di inversione ed eversione calcaneare nel piano frontale, è la bisettrice posteriore del calcagno. Essa si identifica con la bisettrice nel piano frontale della porzione posteriore del terzo più distale della gamba. I punti che rappresentano l’ asse di movimento, così come pure i punti distali delle bisettrici, vengono disegnati e quindi uniti con un pennarello per meglio misurare l’ allineamento con l’ artrogoniometro. I punti di repere cutanei devono essere ridisegnati quando si eseguono le misurazioni dalla massima inversione alla massima eversione, a causa della possibile deformazione dei tessuti molli.
L’ inversione calcaneare viene valutata posizionando il paziente nella stessa posizione utilizzata per determinare la posizione neutra della sottoastragalica, con il calcagno perpendicolare al suolo, senza consentire alla gamba di ruotare internamente od esternamente. La palpazione viene ripetuta quando il calcagno è in massima inversione ed una iperpressione manuale può essere applicata afferrando direttamente il calcagno, raggiungendo così la massima ampiezza del movimento. A questo punto la posizione della mano deve essere spostata per afferrare il mesopiede, mentre viene mantenuta fissa la posizione di arresto del range di motilità. L’ estremità prossimale e distale di un artrogoniometro vengono allineate rispettivamente alle bisettrici del terzo distale della gamba e del calcagno.
L’ eversione calcaneare massima viene misurata nella stessa maniera dell’ inversione ma chiaramente all’ opposto facendo sempre attenzione all’ influenza visiva del movimento del tendi d’ Achille e alla deformazione delle parti molli. Rispetto alla posizione neutra, l’ escursione in eversione del calcagno, coincide con 1/3 dell’ escursione totale; mentre la supinazione con i restanti 2/3. La rilevazione di questi valori ci permetterà di stabilire se il retropiede è nella norma, se è valgo o varo.
Fig. 2-2 pag. V
POSIZIONE STATICA DEL RETROPIEDE
Il paziente viene posizionato prono, mantenendo la posizione neutrale della sottoastragalica con le bisettrici del terzo distale della gamba e del calcagno segnate. Se la bisettrice del terzo distale della gamba è parallela a quella del calcagno non è ipotizzabile una deformità del retropiede, se la bisettrice del calcagno è angolata lateralmente rispetto a quella della gamba si ipotizza un quadro di retropiede valgo, mentre al contrario se la bisettrice del calcagno è angolata medialmente il quadro è di retropiede varo.
POSIZIONE STATICA DELL’ AVAMPIEDE
E’ determinata della correlazione tra la bisettrice longitudinale del calcagno e l’ allineamento, nel piano trasversale, delle teste metatarsali dalla seconda alla quinta. Si raggiunge la posizione neutrale della sottoastragalica, il calcagno presenta la bisettrice, con l’ indice ed il pollice si cerca di vincere le forze di coesione visco-elastiche delle articolazionI mediotarsiche, senza dorsiflettere eccessivamente i metatarsali quarto e quinto. Si deve controllare visivamente il reciproco rapporto tra avampiede retropiede; se la bisettrice calcaneare è perpendicolare al piano delle teste metatarsali non è ipotizzabile una deformità dell’ avampiede. Se il piano delle teste metatarsali è in inversione ci si aspetta una deformità con l’ avampiede in varo. Se il piano delle teste metatarsali è in eversione ci si aspetta una deformità con l’ avampiede in valgo.
Fig. 2-3 pag. VI
POSIZIONE NEUTRALE CALCANEARE IN POSIZIONE ORTOSTATICA
La posizione neutrale calcaneare viene determinata da una misurazione goniometrica dell’ angolo della bisettrice calcaneare nel piano frontale, in riferimento al piano trasversale della superficie d’ appoggio. La misurazione si esegue in posizione ortostatica, utilizzando il piede controlaterale per mantenere l’ equilibrio. Il paziente intraruota ed extraruota con attenzione l’ arto inferiore, ciò provoca pronazione e supinazione a livello dell’ articolazione sottoastragalica. I margini mediale e laterale della testa dell’ astragalo vengono palpati fino a quando sono equamente prominenti, quindi si esegue la misurazione goniometrica mantenendo questa posizione.
POSIZIONE DI RIPOSO FUNZIONALE CALCANEARE IN POSIZIONE ORTOSTATICA
Dopo aver determinato la posizione neutrale calcaneare, viene consentito al paziente di ritornare nella posizione di riposo ortostatica senza badare all’ assetto rotatorio della tibia nel piano trasversale. Si deve attentamente osservare il movimento del calcagno, se viene osservato un qualche cambiamento dell’ angolazione, si deve rimisurare l’ angolo tra la bisettrice calcaneare ed il piano d’ appoggio.
TEST FUNZIONALI
JACK’ S TEST
Un test funzionale importante è il bending dell’ alluce detto anche Jack’ s test. Viene eseguito con il paziente in ortostatismo bipodale, l’ operatore esegue una estensione completa della prima articolazione metatarsofalangea del paziente. La risposta di un piede normale consiste in una elevazione ed accorciamento dell’ arco mediale, accompagnata da una supinazione della sottoastragalica che dà come risultato clinico la correzione dell’ assetto in valgo del calcagno ed una rotazione laterale esterna del complesso tibio-astragalico. Il test si può considerare positivo quando si ottengono entrambe le risposte, oppure negativo quando si ha solo un innalzamento dell’ arco mediale modesto. La correzione dell’ assetto del piede avviene per la messa in tensione della fascia plantare e della muscolatura breve mediale che avvicinano la grande tuberosità del calcagno al primo metatarsale. Inoltre l’ azione di stiramento, con reazione ipertonica del flessore lungo dell’ alluce, oltre ad accompagnare il fenomeno appena descritto, influisce con spinta dal basso al sustentaculum tali e favorisce la supinazione sottoastragalica. Questo test non è eseguibile quando esiste una rigidità della prima articolazione metatarso-falangea, quando è presente una brevità del tricipite surale.
Altri test funzionali consistono nel far camminare il paziente sulle punta dei piedi, sui talloni, sui lati esterni ed interni dei piedi, e facendolo rimanere in appoggio monopodalico.
Il sollevamento e la deambulazione sulle punte permettono di evidenziare la comparsa o meno dell’ arco plantare e la supinazione del retropiede. Infatti in questa posizione si ha la massima escursione in carico del movimento supinatorio, per cui, già in fase precoce nell’ esecuzione del movimento, il calcagno inverte foto 2-4 pag. VII. I soggetti con gravi sindrome pronatoria e sinostosi ritardano questo fenomeno e talvolta il tallone mantiene un certo grado di eversione anche ad escursione completa.
Facendo camminare sui talloni il paziente si può evidenziare la retrazione del complesso tendine d’ Achille e tricipite surale.
Se lo si fa camminare sui bordi esterni del piede si valuta la funzionalità dei muscoli tibiali posteriori. Se si fa camminare il paziente sui bordi interni si può valutare la mobilità delle articolazioni sottoastragalica e mediotarsica.
L’ appoggio monopodalico è utile per vedere se c’ è instabilità o difficoltà a mantenere l’ equilibrio, infatti un piede con una pronazione anomala non riesce ad alternare correttamente i movimenti di prono-supinazione.
CAPITOLO 3
TRATTAMENTO ORTESICO NELLE SINDROMI PRONATORIE DEL PIEDE
LE ORTESI PLANTARI
L’ ortesi plantare è un dispositivo da utilizzare all’ interno delle calzature progettato per alterare la sequenza temporale e di intensità delle forze di reazione che agiscono sull’ aspetto plantare del piede per ottenere una migliore funzionalità e per diminuire le forze di carico patologiche sulle componenti strutturali del piede e dell’ arto inferiore durante le attività in carico.
Le ortesi plantari sono fabbricate utilizzando un modello tridimensionale del piede e sono costruite usando parametri di misura presi in carico che in scarico, ed osservando la funzionalità del piede e dell’ arto inferiore durante le attività in carico.
Anche le scarpe costituiscono una componente fondamentale nel trattamento ortesico, in quanto devono ospitare il piede, il dispositivo ortesico e permetterne l’ efficacia della correzione del pattern biomeccanico. Le scarpe devono avere una calzata comoda, un tacco da 2 a 4 centimetri ed un robusto contrafforte mediale.
La prescrizione di un ortesi plantare è un atto medico formulato attraverso un esame clinico consistente in una anamnesi remota e recente, valutazione generale del paziente, degli arti inferiori e delle calzature. L’ anamnesi remota e recente può essere d’ aiuto per sapere se patologie e traumi possono essere causa delle alterazioni presenti. L’ esame generale dovrebbe essere indirizzato a determinare la presenza di lassità legamentosa, sovrappeso, od altre patologie che causano alterazioni agli arti inferiori. La valutazione degli arti inferiori ed in particolare del piede e delle calzature, ci permetterà di riconoscere quelle alterazioni tipiche delle sindromi pronatorie, effettuare la diagnosi e quindi progettare il giusto plantare per il caso del paziente.
Effettuata la diagnosi segue l’ identificazione del singolo problema ortesico e delle sue cause, considerando il tipo di paziente in termini d’ età, peso corporeo, entità e tipo di attività svolta, calzature utilizzate, patologie intercorrenti, come diabete, artrite reumatoide, gotta ecc. Infine, si giunge alla soluzione del problema ortesico individuando il tipo di plantare e quindi dei materiali che devono essere utilizzati. La prescrizione deve essere precisa per consentire una precisa tecnica di realizzazione per costruire un ortesi perfettamente rispondente al progetto e quindi alle necessità del paziente.
CLASSIFICAZIONE ORTESICA
Le ortesi plantari possono venire classificate:
in base alla funzionalità e possono essere di tre tipi:
funzionali
accomodative
funzionali-accomodative
Le ortesi plantari funzionali sono progettate per modificare la funzione articolare del piede e dell’ arto inferiore durante le attività in carico e modificare l’ intensità ed il tempo delle sequenze del carico di strutture plantari del piede. La realizzazione di ortesi plantari funzionali comporta l’ uso di materiali rigidi o semirigidi, che sono in grado modificare la funzionalità del piede e dell’ arto inferiore riallineando i segmenti ossei e riducendo la pronazione massima.
Le ortesi plantari accomodative sono progettate per modificare l’ intensità ed il tempo delle sequenze del carico di strutture plantari del piede sintomatiche o lese durante le attività in carico. In questo caso, viene ritenuta indicata la realizzazione delle ortesi plantari con materiali morbidi che sono in grado modificare l’ intensità del carico su determinate zone della superficie plantare del piede lese o dolorose.
Le ortesi plantari funzionali-accomodative integrano l’ uso di materiali rigidi, che possono modificare la funzionalità del piede, e l’ uso di materiali morbidi che permettono di scaricare prominenze ossee dolorose.
CLASSIFICAZIONE DEI MATERIALI
I materiali da utilizzare per la realizzazione delle ortesi plantari sono disponibili in un’ ampia gamma. Ciascuno dei quali possiede proprietà e caratteristiche tipiche che lo rendono adatto a specifiche applicazione ortesiche.
MORBIDI schiume di polietilene a bassa densità, schiume di etil-vinil-acetato (EVA), PPT, lattice
SEMIRIGIDI agglomerato di sughero e caucciù, schiume di polietilene ad alta densità
RIGIDI policarbonato, polietilene, polipropilene da 3-4 mm, fibre di carbonio
PROCESSI DI REALIZZAZIONE ORTESICA
La metodologia di realizzazione delle ortesi plantari varia a seconda che si utilizzi la scuola europea o la scuola americana.
SCUOLA AMERICANA
IMPRONTA DI GESSO
Dapprima viene tracciata con un pennarello la bisettrice del calcagno sull’ epidermide del paziente che ritroveremo stampata sul calco gessato. L’ impronta in gesso è stata presa con il paziente in posizione prona utilizzando due strati di bende gessate da venti centimetri. queste vengono posizionate dapprima sul calcagno e quindi modellate al piede includendo tutto il piede dall’ apice dei malleoli ad eccezione della parte dorsale del piede in corrispondenza del secondo, terzo, quarto metatarsali. Quindi viene ricercata la pozione neutra dell’ articolazione sottoastragalica e mantenuta applicando una forza in flessione dorsale ed abduzione sulle teste metatarsali quarta e quinta fino completo indurimento delle bende. Dopo che il gesso si è rappreso, i margini cutanei a diretto contatto vengono allontanati. Il calco gessato viene distaccato dal calcagno e fatto scivolare verso il basso delle dita. Mentre il gesso è ancora umido, le impronte a livello delle ultime due teste metatarsali vengono corrette dalla pressione che era stata esercitata per mantenere in posizione il piede.
PROCESSO DI FABBRICAZIONE ORTESICA
Inizialmente viene ricalcata sulla superficie esterna dell’ impronta la bisettrice del calcagno, quindi viene utilizzato se è necessario un cuneo da porre sotto l’ avampiede nel lato mediale o laterale dell’ impronta per inclinare il calco in modo tale da avere la bisettrice del calcagno verticale. Si prepara una quantità sufficiente di impasto di gesso ed acqua e lo si versa all’ interno dell’ impronta facendo attenzione a non concreare bolle d’ aria. Quando il gesso è indurito si strappano le bende gessate si appiana la superficie superiore del calco di gesso. Utilizzando il metodo di correzione intrinseca per l’ avampiede vengono localizzate la prima e quinta testa metatasali, quindi viene piantato un chiodino nel centro della testa del primo e quinto metatarsale e affondato nel gesso fino al punto che, ponendo il calco con la faccia plantare sul piano di lavoro, ritroveremo la bisettrice perpendicolare al piano stesso. Questo riferimento serve per bilanciare l’ avampiede con deformità in varo o in valgo e stabilizzare il retropiede in posizione neutra della sottoastragalica. Quindi per compensare l’ espansione dei tessuti molli durante il carico, si modella il calco aggiungendo gesso sul bordo postero-laterale e laterale, evitare di aggiungerne nel bordo postero-mediale, ed in maniera maggiore se ne aggiungerà sul bordo mediale andando anche a riempire l’ arco longitudinale mediale ed anteriormente si creerà una piattaforma di bilanciamento. Terminato il modellamento del calco, si preparano i materiali termoplastici per realizzare l’ ortesi, si taglia la quantità di lamina necessaria, facendo attenzione che non sia in eccesso, per facilitarne la modellazione durante il processo di pressione sottovuoto. La lamina viene messa in forno per ammorbidirla, quindi posizionata sul calco ed azionato il sottovuoto per adattarla perfettamente. Quando la lamina è raffreddata inizia la rifinitura con la mola per eliminare la parte in eccesso e successivamente si applica il posting posteriore nella superficie plantare calcaneare dell’ ortesi. Il posting posteriore stabilizza l’ ortesi ed inoltre mediante la molatura si può modificare l’ angolatura del piano d’ appoggio per correggere i movimenti articolari del piede e dell’ arto inferiore.
SCUOLA EUROPEA
IMPRONTA IN SCHIUMA FENOLICA
Per la presa dell’ impronta si utilizza una lastra di 4-5 cm di altezza di schiuma fenolica. Il paziente si posiziona in stazione eretta, oppure seduto con il ginocchio e la caviglia ad angolo retto. Il paziente in modo passivo permette all’ operatore di premere i piedi, uno alla volta, nella lastra di schiuma fenolica fino a creare una profondità di 3 cm circa. Nella fase di spinta del piede verso il basso l’ operatore deve cercare di mantenere il piede in maniera corretta, evitandone inclinazioni.
PROGETTAZIONE ORTESICA
La progettazione ortesica varia a seconda della causa che determina la pronazione anomala del piede.
Nelle sindromi pronatorie da compensazione, l’ ortesi plantare dovrà compensare la deformità che determina l’ eccessiva pronazione del piede.
Avampiede varo: necessita di un’ ortesi plantare che presenta un piano inclinato a livello dell’ avampiede, cioè uno spessore maggiore medialmente e minore lateralmente.
Avampiede valgo: come per l’ avampiede varo l’ ortesi presenta un piano inclinato, in questo caso nel senso opposto.
Equinismo della tibiotarsica: necessita di un’ ortesi plantare che abbia uno spessore maggiore nel retropiede e di calzature con tacco di 3-4 centimetri per permettere al piede di avere una maggiore dorsiflessione.
Retropiede valgo: in questo caso è indicato il cuneo supinatore posteriore che ha come obiettivo il riallineamento del calcagno. Se in associazione al retropiede valgo vi è il collasso dell’ arco longitudinale mediale viene utilizzata un’ emicupola per sostenere l’ arcata mediale del piede. Nel caso sia presente una supinazione dell’ avampiede sarà indicato un cuneo pronatore. Con questi tre elementi si può consentire al piede di seguire lo svolgimento fisiologico a elica.
PROCESSO DI FABBRICAZIONE ORTESICA
Ottenuta l’ impronta, si procede a colmarla con un impeto di gesso ed acqua che una volta indurito rappresenterà il piede del paziente. Il calco quando sarà indurito verrà modellato con delle lime idonee per eliminare le imperfezioni dovute alla schiuma fenolica, e per caratterizzare l’ effetto del plantare. Terminata la modellazione del calco vengono scelti i vari materiali per la realizzazione del plantare. La scelta di materiale rigido in genere è associata anche all’ utilizzo di materiale morbido per la ricopertura, cioè per la superficie a diretto contatto del piede. Spesso viene preferita l’ utilizzazione di materiali semirigidi perché meglio tollerati dal paziente. La funzionalità dell’ ortesi viene ottenuta mediante l’ applicazione di spessori che invertono il retro piede se è pronato, e spessori che compensano le deformità dell’ avampiede per impedire al retropiede di pronare per compensazione. I bordi laterali a livello del retropiede devono essere in grado di contenere il tallone ed impedirne lo spostamento.
La realizzazione ortesica con questo metodo ne determina uno spessore leggermente maggiore che non quello di scuola americana che utilizza la correzione intrinseca.
CAPITOLO 4
PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO
Il caso preso in esame è rappresentato da una donna di 30 anni di 170 centimetri di altezza e 52 kili, riferisce di non soffrire di alcuna patologia eccetto la causa che l’ ha portata alla nostra attenzione. Viene diagnosticata la presenza di sindrome pronatoria mediante l’ anamnesi, ed esame clinico soggettivo. La paziente riferisce un disagio funzionale dopo un breve cammino consistente in affaticamento e dolore al piede, nella zona plantare in corrispondenza all’ area di inserzione della fascia plantare prossimale per l’ eccessiva sollecitazione in allungamento della stessa, e dolore nell’ area perimalleolare laterale dovuto all’ eccessiva eversione del calcagno che causa impingement al malleolo laterale.
Riferisce inoltre dolore al ginocchio nella zona mediale. La presenza di algia si manifesta alla stazione eretta e alla deambulazione dopo poche centinaia di metri e si attenua fino a svanire con il riposo. In seguito alla realizzazione dell’ ortesi plantare è visibile il miglioramento dell’ allineamento dei segmenti ossei e dopo due settimane di utilizzo la paziente riferisce la scomparsa della sintomatologia dolorosa al piede.
VALUTAZIONE CLINICA
Dopo aver visto la paziente in posizione di riposo funzionale calcaneare in posizione ortottica e in deambulazione effettuo l’ esame obiettivo della motilità passiva dell’ anca, dell’ arto inferiore e del piede riportati nella tabella 1.
Dalla raccolta di questi dati possiamo dedurre che la paziente non presenti alterazioni morfologiche ossee ed articolari dell’ anca e del femore, visivamente si nota un lieve varismo tibiale nell’ arto sinistro ed in entrambi gli avampiedi rispetto al retropiede in posizione neutra. L’ esame clinico dell’ antiversione femorale non ha evidenziato anomalie. Come suggerito da vari autori la causa di un’ eccessiva pronazione può essere individuata nell’ inclinazione dell’ asse dell’ articolazione sottoastragalica ad esempio se abbiamo un caso di un asse deviato medialmente la forza di reazione del terreno agente sul calcagno determinerà un braccio del momento disponibile a causare un momento supinatorio minore, inoltre la forza i reazione del terreno agente sull’ avampiede laterale avrà a disposizione un braccio del momento aumentato che provocherà un incremento del momento pronatorio a livello dell’ articolazione sottoastragalica causando così uno stato di eccessiva pronazione in termini assoluti e di tempo di durata.
Un’ altra causa potrebbe essere l’ eccessiva verticalità dell’ asse obliquo dell’ articolazione mediotarsica. Queste potrebbero essere le cause.
La valutazione clinica della paziente in posizione eretta in statica permette di rilevare i dati riportati nella tabella 2.
questi valori ci indicano uno stato di estrema pronazione in posizione statica, che si ripercuote prossimalmente con strabismo rotuleo ed intrarotazione di tutto l’ arto inferiore foto 4.1 pag. VIII.
Alla deambulazione si rileva come entrambi i piedi, ma in maniera maggiore il piede sinistro, mantengono lo stato di pronazione del retropiede per tutta la durata del passo, ed abduzione dell’ avampiede, inoltre è presente un collasso del lato mediale del piede associato ad intrarotazione tibiale e valgismo delle ginocchia. Foto 4.2 pag. IX, 4.3 pag. X, 4.4 pag. XI
TRATTAMENTO ORTESICO
Effettuata la valutazione della paziente, si è scelto di realizzare l’ ortesi in materiale rigido per meglio correggere l’ anomalia in pronazione e di eseguire la realizzazione del dispositivo ortesico seguendo la metodologia della scuola americana. L’ impronta è stata presa utilizzando le bende gessate. Nel presente caso i valori rilevati di 14° in eversione, 28° in inversione calcaneare sinistra e 10° in eversione, 30° in inversione calcaneare destra ci indicano che il retropiede del piede sinistro troverebbe la posizione neutra della sottoastragalica in corrispondenza della bisettrice perpendicolare al piano di lavoro, mentre il destro a 3° in varo. Perciò prima di versare l’ impasto di gesso, le impronte vanno posizionate rispettivamente, il sinistro con la bisettrice perpendicolare ed il destro con la bisettrice 3° in varo. Dopo che il gesso si è rappreso, ho bilanciato l’ avampiede con i chiodini e modellato il calco con l’ aggiunta di gesso per compensare l’ espansione dei tessuti molli e per creare la base del bilanciamento dell’ avampiede. Foto 4.5 pag. XII.
Terminata la realizzazione dell’ ortesi Foto 4.6 pag. XIII, si è valutato la correzione apportata al piede, si riscontra un miglioramento nella posizione di riposo funzionale calcaneare in ortostatismo passando da 8° a 3° di eversione calcaneare nel piede destro e da 13° a 7° nel piede sinistro. Foto 4.7 pag. XIV, Foto 4.8 pag. XV. Si indica l’ utilizzo dell’ ortesi in maniera graduale partendo con un’ ora il primo giorno ed aumentando di un’ ora al giorno l’ uso nelle calzature. Al controllo effettuato 15 giorni dopo la paziente riferisce la scomparsa della sintomatologia dolorosa alla deambulazione ed in posizione statica alla zona di inserzione della fascia plantare prossimale e all’ area perimalleolare laterale nel cammino ed in posizione statica.
CONCLUSIONI
I risultati del presente studio compilativo e sperimentale indicano che il trattamento ortesico della sindrome pronatoria permette un miglioramento dell’ allineamento dei segmenti ossei, un incremento della funzionalità, e la diminuzione o la scomparsa delle sintomatologie dolorose. Questo permette di ridurre o prevenire l’ insorgenza delle patologie conseguenti alla pronazione anomala del piede. Nella valutazione della pronazione del piede è sempre importante analizzare l’ assetto di tutto l’ arto inferiore, in quanto la pronazione può rappresentare un compenso ad un dismorfismo soprasegmentario. L’ utilizzo di materiale rigido permette un migliore controllo del movimento del piede e rende l’ ortesi più duratura nel tempo. La realizzazione dell’ ortesi plantare può avvenire secondo diverse metodologie, quelle di scuola europea, o di scuola americana ed in entrambi i casi si ottiene un miglioramento della anomala pronazione del piede.
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